conferenza stampa: venerdì 18 settembre 2020
Dal 19 settembre al 13 dicembre 2020 la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano presenta un nuovo allestimento dal titolo What’s New
costituito da opere di recente acquisizione di maestri affermati,
affiancate a lavori di giovani protagonisti della scena artistica
internazionale.
Il percorso espositivo spazia tra
dipinti, disegni, sculture e fotografie in un confronto esemplare tra
poetiche e linguaggi espressivi diversi. L’obiettivo è quello di
evidenziare il dialogo imprescindibile tra le avanguardie storiche del
primo Novecento e le ricerche contemporanee: una sorta di viaggio
immersivo lungo oltre un secolo costellato da sorprendenti momenti di
approfondimento.
Le
trentaquattro opere esposte si articolano, dunque, in diversi capitoli
autonomi: dall’arte astratta tra segno e materia, a un’indagine su luce e
colore attraverso le opere di Franz West e Rudolf Stingel, fino a un
omaggio a Jimmie Durham, Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di
Venezia del 2019. Una sezione importante è inoltre dedicata alla guerra,
tema fondante della vicenda storica del XX secolo.
Il visitatore è accolto nella prima sala dall’opera pittorica Empreintes de pinceau n. 50 del 1989 dell’artista ticinese Niele Toroni (1937), tra i massimi rappresentanti del Minimalismo europeo, qui presentata in relazione alle opere monocrome Baked in silence (1960-61) di Piero Dorazio (1927-2005) e Avant-testo 12-1-99 (1999) di Irma Blank (1934), in un dialogo serrato tra segno e scrittura.
Sulla parete opposta l’artista messicano Gabriel Orozco (1962) combina sapientemente materia, forma e colore adottando un sistema di regole predeterminate tanto sistematiche quanto ignote a noi osservatori: l’opera su tela Samurai Tree 17H (2008) e le sculture in poliuretano espanso Tre sfere (2003), pur differenti a livello formale, ben rappresentano il suo inedito concettualismo, l’enigmatico rigore con cui Orozco formula il suo universo visivo.
Nella sala successiva la scultura in cartapesta dipinta dalle forme antropomorfe ma astratte dell’artista austriaco Franz West (1947-2012), Untitled del 2011, si colloca in continuità con le brillanti tonalità dell’omonimo dipinto del 2012 del meranese Rudolf Stingel
(1956), reduce da una grande antologica alla Fondazione Beyeler di
Basilea lo scorso anno. Entrambi di formazione culturale nord-europea,
gli artisti si distinguono per la piena libertà con cui rivisitano e
rinnovano, rispettivamente, l’idea stessa di scultura e di pittura
formulate dalle avanguardie storiche.
Il percorso espositivo continua con un gruppo di quattro opere del danese Henrik Olesen (1967), protagonista internazionale della ricerca artistica a orientamento sociale, come testimoniano i due grandi ritratti in bianco e nero A.T. (2019) del matematico britannico Alan Turing (1912-1954), considerato il padre dell’informatica moderna, perseguitato per la sua omosessualità nonostante i brillanti risultati professionali e il contributo alla nazione.
Uno spazio di rilievo viene riservato nella sezione successiva all’opera di Jimmie Durham
(1940), artista americano appartenente a una comunità di indiani
Cherokee, impegnato in politica e nel campo dei diritti civili.
Esemplare la scultura Aazaard del 2018, un assemblage
di ossa, plastica e componenti di automobili, dove la combinazione di
oggetti quotidiani e materiali organici innesca una riflessione tesa a
scardinare i simboli fondanti del sistema di vita occidentale.
L’ultima
sala vede dialogare al suo interno opere che magistralmente si
interrogano sul tema della sofferenza. La drammatica vicenda della Prima
guerra mondiale viene evocata attraverso la straordinaria serie di
quattordici tavole litografiche di Natalia Goncharova (1881-1962) dal titolo La Guerra del 1914 e la celebre Parolibera (irredentismo) dello stesso anno di Filippo Tommaso Marinetti
(1876-1944). Tale sezione storica è arricchita da opere di artisti del
presente, diversi per generazione e paese d’origine, che pure hanno
indagato la condizione della sofferenza.
Inoltre, Fausto Melotti (1901-1986) con Lager del 1972 e Zoran Mušič (1909-2005) con Autoritratto del 1970 documentano le atrocità dello sterminio nazista. A seguire la grande fotografia dal titolo Seeking Martyrdom-Variation1 del 1995 testimonia lo sguardo dell’artista iraniana Shirin Neshat (1957) rivolto alla società medio-orientale e in particolare alla complessità della condizione femminile, mentre la palestinese Mona Hatoum (1952) e la cubana Ana Mendieta (1948-1985) – presenti in mostra rispettivamente con la scultura A bigger splash (2009) e l’opera Silueta Works in Iowa (1976-78) – al di là delle differenze stilistiche e delle singolari ricerche espressive, esplorano entrambe la propria vicenda personale di esiliate per offrire una profonda indagine su tematiche quali la violenza e la vulnerabilità del corpo.
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