mercoledì 28 dicembre 2022

Attenzione all’ambiente, inclusione sociale, benessere, consumo e produzione responsabili: ecco come il design rivoluziona le aziende e le istituzioni, aiutandole a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile

 Il rapporto tra azienda e organizzazioni, da un lato, e design dall’altro, non si limita solo all’estrazione di bellezza e creatività: oggi le discipline del “design for behaviours”, “design for education, o ancora “design for maintenance” possono essere applicate alla vita aziendale e alla pubblica amministrazione, per favorirne uno sviluppo sostenibile, in linea con gli obiettivi dettati dall’ONU.

di Cabirio Cautela, Amministratore Delegato POLI.design

 

Ripensare il modo di fare impresa, di organizzare il lavoro e gli spazi. Ma anche ridefinire il modo di organizzare i servizi per le città e le comunità. Con queste capacità e attitudini, il design è entrato con decisione nei processi aziendali e sta entrando in quelli pubblici. Ma non solo. Il design può trasformarsi nel miglior alleato delle imprese per affrontare le sfide poste in atto dai Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite che impongono alle imprese scelte radicali sulla loro catena del valore, sulla trasformazione digitale del lavoro, sul legame con le comunità locali e sull’impronta ambientale. Una trasformazione che tutti i Paesi membri dell’ONU dovranno completare entro il 2030.

Il potenziale del design può finalmente essere sfruttato appieno a favore della sostenibilità, della digitalizzazione, dell’inclusione sociale e dell’organizzazione del lavoro. Un percorso che non può prescindere – e anzi deve partire – da un nuovo mindset di manager, imprenditori e organizzazioni pubbliche che passa attraverso una rinnovata apertura verso il mondo del design. Un approccio che deve essere diverso da quello degli anni ‘60, quando i designer venivano interpellati e coinvolti dalle imprese per la loro “creatività” e la capacità di estrarre bellezza: abilità che hanno segnato l’evoluzione della moda e dell’arredamento, e che senza dubbio hanno reso il made in Italy noto nel mondo. Oggi, però, il design è in grado di abbracciare uno spettro molto più ampio.

Ma dove il suo intervento è più potente e decisivo? Sicuramente in almeno 6 tra i 17 Sustainable Development Goals: good health & wellbeing (SDG 3), gender equality (SDG 5), affordable & clean energy (SDG 7), industry, innovation & infrastructure (SDG 9), sustainable cities & communities (SDG 11) e responsible consumption & production (SDG 12).

Il design a sostegno della salute e del benessere

Si parla spesso del “design” come se fosse un’unica entità, ma in realtà sotto a questo nome si nascondono una miriade di ramificazioni e specializzazioni, che sono nate e si sono evolute specialmente negli ultimi anni, per rispondere alle mutevoli esigenze delle persone e delle imprese. Per citarne uno, esiste oggi il “behavioural design” che studia come l’attivazione di nuovi comportamenti comporti la progettazione di nuove forme di ingaggio, un sistema informativo differente e un’educazione del mercato capace di creare nuove motivazioni soprattutto nelle nuove generazioni. Le applicazioni sono molteplici: dalla prevenzione nella medicina (si pensi ai dispositivi che monitorano lo stile di vita delle persone identificando i fattori di rischio sulla base dell’osservazione di bio-parametri) al mondo del lavoro, dove l’induzione di nuovi comportamenti può aiutare a migliorare il benessere dei dipendenti di un ufficio, ad esempio monitorando i lunghi momenti di sedentarietà ad una scrivania e lanciando dei segnali o delle notifiche per portare la persona a modificare questo comportamento con degli esercizi o con la cura di un’alimentazione ad hoc per vite caratterizzate da elevata staticità.

Il design per la parità di genere

Rispetto agli albori, i designer hanno l’opportunità, anche attraverso la propria capacità di visione e anticipazione, di contribuire alla riconfigurazione delle convenzioni comunicative e dei linguaggi in un’ottica di parità di genere, rispetto e valorizzazione delle differenze. Se un tempo i servizi erano pensati in maniera “piatta” e uniformata su un modello che troppo spesso era automaticamente maschile, oggi il design studia sempre più le diversificazioni di accesso a servizi e prodotti che dipendono dalle differenze di sesso, genere, cultura. Ma come? Basta pensare agli abitacoli delle macchine, principalmente progettati a partire da un’idea di fisico maschile. Un tema che si lega non solo al comfort della seduta ma anche alla sicurezza. Perché per testare la sicurezza delle macchine nei crash test si usano principalmente manichini con forme maschili. Partendo da questo spunto Volvo qualche anno fa ha studiato i dati di più di 40.000 incidenti reali che hanno coinvolto circa 70.000 persone. Da quello studio è partito il progetto E.V.A., che metteva in evidenza la fondamentale ineguaglianza nello sviluppo dei sistemi di sicurezza per le auto: dallo studio risultava evidente come le donne fossero esposte a rischi maggiori di subire lesioni in caso di incidente (le differenze anatomiche e di forza della muscolatura del collo che sono tipiche della donna e dell’uomo medio implicano che le donne abbiano una maggiore probabilità di subire traumi da colpo di frusta). Un problema che può essere risolto anche dai car designer, che possono pensare e sviluppare progetti in grado di ridurre queste disuguaglianze.

Il design per le città e le comunità sostenibili

Da sempre, e ancora di più negli ultimi anni, il design ragiona in termini “human-centric”, ovvero quel tipo di progettazione di servizi, prodotti e spazi in cui l’esperienza della persona sia centrale. Proprio per questo, il design può dare alle città una maggior capacità di “umanizzazione” di alcuni servizi pubblici che, purtroppo, spesso non sono sostenibili o efficaci per gli utenti. La riprogettazione dei servizi pubblici – in accordo spesso al ruolo “sovvertitore” del design rispetto ai paradigmi dominanti – non può che ripartire da un nuovo ruolo da attribuire agli utenti. In diversi casi infatti il “design dei servizi” pubblici può prevedere un ruolo attivo della cittadinanza, dando vita a comunità locali attraverso lo sviluppo di piattaforme partecipative in cui le persone possono co-progettare dei servizi di welfare – come ad esempio gli asili nido, comunità di supporto, gli orti comunitari, o ancora i gruppi di mutuo sostegno. In questo modo, attraverso il design, la città collabora con la propria comunità per creare innovazione sociale, sostenibilità, servizi green. A Milano un esempio di successo è NoLo, che ha visto una reale rivalutazione della comunità attraverso la progettazione del quartiere. In questo modo non solo crescono i servizi, ma anche la comunità locale.  

Il design per industria, innovazione e infrastrutture, per un consumo e una produzione responsabili e green

Oggi siamo consapevoli che le implicazioni che la produzione di un bene può avere sull’ambiente debbano essere approcciate in fase di progettazione, perché quando inizia la produzione è troppo tardi per intervenire. In questo caso entra in campo la disciplina del “green o eco-design” che prevede la valutazione dei diversi impatti del prodotto lungo tutto il ciclo di vita utile del bene. Obiettivo principale dei green designer è la creazione di prodotti e progetti sviluppati nell’ottica della rigenerazione ambientale e delle sue forme di vita. Ridurre, riutilizzare e riciclare sono vecchie parole chiave che oggi si accompagnano ai principi della circolarità della produzione e dei modelli di business (si veda per esempio cosa sta accadendo nel mondo del food con casi come Too Good To Go - https://toogoodtogo.it/) . E proprio per questo, i designer, negli ultimi anni, sono stati formati con approcci innovativi che vanno dal “disassembling” (prodotti studiati per essere disassemblati in parti pienamente riciclabili) al “design for reuse” o “per la circolarità” (con cui si immagina in anticipo l’uso successivo di alcune componenti o del prodotto intero), o ancora al “design for attachment” (che serve a legare emotivamente gli utenti ai prodotti col fine ultimo di allungare la vita utile dei prodotti). Si va sempre più verso prodotti “ricondizionabili”, resettabili all’occorrente per una seconda o terza vita e tale opzione deve essere sempre più prevista nelle fasi di progetto iniziale.

Ma il cambio di passo non si limita alla sola gestione del prodotto: sono sempre di più, infatti, i designer che lavorano per aiutare le imprese nella loro transizione verso la “servitization” dell’economia, ovvero il passaggio verso l’offerta di soluzioni che coniugano asset tangibili e servizi complementari (come nel caso del car sharing per quello che riguarda l’automotive).

Quelli illustrati sono solo alcuni dei casi in cui il design può intervenire per velocizzare la transizione necessaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Molto è già stato fatto, ma la strada per attuare una trasformazione radicale è ancora lunga e il tempo, invece, non è tantissimo. Credo quindi che percorrere questa strada con professionisti, come i designer, capaci di destreggiarsi tra discipline tecniche e scientifiche, sociologiche e umanistiche possa rendere il percorso meno irto e complicato e offrire l’opportunità di arrivare alla meta un po’ più velocemente. 

 

ANTEPRIMA L’ALTRA TOSCANA 2023 La seconda edizione de “L’Altra Toscana” chiuderà la Settimana delle Anteprime a Firenze il 17 febbraio 2023 al Palazzo degli Affari.

 

FINO A SABATO 31 DICEMBRE ULTIMI GIORNI A MANTOVA PER LA MOSTRA DI RAFFAELE CIOFFI "LUCE OMBRA PITTURA" VISITATA DA OLTRE DUEMILA PERSONE

 

Una mostra solidale

 



Succede che un’esposizione, se di prestigio e rilevanza, può dimostrarsi utile per sostenere una causa o un progetto. È accaduto con la mostra “Terra” di Sebastião Salgado, allestita nel Castello Savorgnan di Artegna nella primavera del 2022. Promossa da Gruppo 89, Ecomuseo delle Acque, CeVI-Centro di Volontariato Internazionale, Buteghe dal Mont con la collaborazione del Comune di Artegna, ha visto la presenza record di 2.838 visitatori. Alla mostra era collegata una campagna del CeVI a favore di un progetto di cooperazione solidale da realizzare in Bolivia.

Grazie alle donazioni dei visitatori, sono stati raccolti 5.400 euro destinati alla comunità indigena rurale di Villaflor de Pucara, a 80 km da Cochabamba, terza città boliviana. L’obiettivo è quello di far sopravvivere la comunità dotandola di strumenti teorici e pratici per affrontare le sfide del tempo, preservando la sua identità e memoria storica. Questa popolazione sta affrontando diverse problematiche: la scarsità d’acqua, la mancanza di infrastrutture idrauliche per lo sviluppo di attività produttive, la degradazione del suolo e la desertificazione sociale ovvero il progressivo abbandono del territorio da parte delle giovani generazioni in ricerca di migliori opportunità di lavoro.

 

Il progetto, sostenuto dal CeVI e dalla Fundacion Abril, comporta: la realizzazione di un sistema di acqua per consumo umano attraverso la perforazione di un pozzo e la realizzazione di un piccolo acquedotto; il miglioramento del sistema di irrigazione comunitario attraverso la riabilitazione di un bacino di raccolta dell’acqua piovana e la realizzazione di una rete idraulica per l’irrigazione tecnificata; la realizzazione di una Casa delle Sementi per il recupero delle sementi autoctone; la realizzazione di attività di riforestazione e gestione del territorio per frenare la degradazione del suolo; la promozione dell’agroecologia attraverso la formazione tecnica e la dotazione di input produttivi.

venerdì 23 dicembre 2022

PURACULTURA - Dieci anni al servizio del territorio

 



Il magazine Puracultura ha compiuto 10 anni. Sono stati anni appassionati che hanno dato visibilità a tanti protagonisti del mondo della cultura campana che dalle pagine della rivista hanno potuto dialogare con un pubblico di lettori sempre più selezionato, interessato a teatro, musica, cinema, letteratura, arte, danza, spettacolo. Il direttore Antonio Dura ha affidato ad uno scritto una riflessione sul progetto editoriale iniziato nel lontano 2012. «Amati lettori, dal numero zero di dicembre duemiladodici ad oggi, Puracultura, con questo numero, compie dieci anni. Partita con otto pagine, la rivista è stata subito accolta bene e con grande attenzione sia dagli addetti ai lavori che dagli appassionati di musica, teatro, cinema, letteratura, pittura, scultura, ceramica, eventi dal vivo, raggiungendo al secondo anno le sedici pagine a colori con una tiratura di 1.500 copie mensili e quasi 20mila iscritti alla newsletter ed alla copia digitale del giornale. La formula "event press", ideata dal caporedattore e motore della redazione Claudia Bonasi, è stata una componente importante del successo e della rapida penetrazione nell'affetto dei lettori di Puracultura. La rivista presenta l'evento ed è distribuita nel corso dell'evento per consolidare il proprio pubblico ma sempre alla ricerca di un nuovo lettore; è rimasta infatti immutata la soddisfazione che provo quando la piattaforma che utilizziamo, per l'invio della rivista e delle newsletter, mi segnala un nuovo iscritto. La grande attenzione a tutto quello che accade intorno a noi, alle segnalazioni dei lettori, alle intuizioni dei nostri redattori (grazie), unita alla voglia di rimanere sempre indipendenti, all'onestà delle nostre scelte e dei nostri articoli, ci hanno guidato in questo viaggio. Abbiamo incontrato tanti amici, ne abbiamo conosciuti altri, costruendo progetti che hanno sempre funzionato molto bene, dal reportage "Salerno - Tunisi, sulle rotte della ceramica mediterranea" presentato nel Forum per l'Alleanza degli Artigiani del Mediterraneo che ha portato il premio "Mare Nostrum Award" nella nostra bacheca, alla mostra/libro "Amalfi anni '50, '60" presentata quest'anno, attraverso i volumi della collana "Storie di ceramica," e tante altre piccole e grandi pubblicazioni, senza trascurare la partecipazione, come media-partner, a tantissime stagioni teatrali, festival, rassegne. Siamo giunti, con questo numero, ad oltre seimila articoli e seimila fotografie, tutte scelte con cura, pubblicate al meglio delle nostre possibilità - un segno distintivo della nostra impaginazione poi perfettamente stampata dalla Tipografia Fusco (grazie) che ci accompagna sin dal primo numero. Senza lettori Puracultura sarebbe niente, quindi grazie, senza parentesi,- soprattutto a voi, continuate a scriverci, a mandare materiale e idee, a partecipare ai nostri eventi o, comunque, a leggerci sempre».


MANOVRA E QATARGATE: BOTTEGA (PROSECCO), 'MADE IN ITALY HA BISOGNO DI POLITICI ONESTI E AFFIDABILI' "Manovra senza attenzione da parte del governo alle Pmi"

 



«Abbiamo bisogno di una classe politica che sia credibile, che non faccia leggi che agevolano corruzione ed evasione fiscale e che ridia all'Italia quella reputazione che tanti italiani si sono dovuti costruire perché altri italiani l'avevano intaccata. Le prime pagine di questi giorni stanno dando un'immagine degli italiani (e dell'Italian Job) che nuoce gravemente alla reputazione di tutta la Nazione e della nostra economia e la responsabilità dei politici è talmente alta e il danno talmente grande che ritengo che queste persone debbano immediatamente essere radiate dal Parlamento (altro che immunità!) e non possano ricandidarsi fino all'eventuale assoluzione dopo il terzo grado di giudizio». Lo ha dichiarato Sandro Bottega, patron dell'omonima azienda di Bibano (Treviso) tra i principali produttori di vino e distillati italiani e ideatore dei "Prosecco Bar" che stanno spopolando in tutto il mondo.
«Mi ricordo che quando ero ventenne, una quarantina di anni fa, iniziavo ad andare all'estero per vendere grappa e prosecco e venivo accusato, in quanto italiano, di non essere degno di fiducia e addirittura di essere mafioso: più dei prodotti, ho dovuto conquistarmi una reputazione per poterli proporre. Gli importatori - continua Bottega - conoscevano quella parte di Italia emigrata nel loro Paese (Usa, Canada, Australia e Germania in primis) che non sempre aveva dato una buona immagine di sé, immagine confermata da quello che succedeva in Italia: erano i tempi delle stragi, dei rapimenti, del debito pubblico, di Craxi e del CAF. Promuovere un prodotto, specie se italiano, è promuovere una Nazione e se in quella Nazione tutti creano prodotti di qualità, se non ci sono scandali, se vince gli Europei o i Mondiali di calcio, si dà tutti insieme uno spirito di unicità che fa sì che la nostra economia e i nostri prodotti vengano percepiti come i migliori. E se poi lo sono sul serio, la forza che ne otteniamo, è portatrice di benessere per intere generazioni. Pensate agli italiani che hanno costruito le nostre bellezze, da Roma a Venezia: con la loro intelligenza e la loro caparbietà, hanno dato ricchezza per secoli a tutti gli italiani e felicità ai turisti di tutto il mondo», ha concluso Sandro Bottega.

 

Pordenone Docs Fest presenta L’immagine guida della XVI edizione firmata dal fotografo friulano Mattia Balsamini una scelta nuova, legata al comune impegno per l’Ambiente

 


Dal 29 marzo al 2 aprile 2023 il festival porta a Pordenone

lo sguardo sul mondo dei migliori documentaristi internazionali

 

Cinemazero

Piazza maestri del lavoro 2, Pordenone

www.pordenonedocsfest.it

 

 


 

Pordenone, 22 dicembre 2022. Con la XVI edizione del Pordenone Docs Fest. Le voci del documentario il festival sceglie per la prima volta di legare la sua immagine guida alla visione di un artista: è infatti del fotografo friulano Mattia Balsamini la foto simbolo della nuova edizione della manifestazione di Cinemazero che, dal 29 marzo al 2 aprile 2023, porterà in città il meglio del cinema del reale internazionale.

 

Elemento centrale di questa collaborazione è l’impegno per l'ambiente, da sempre peculiarità del festival e costitutivo delle ultime ricerche del fotografo, dedicate all’inquinamento luminoso e alla scomparsa del buio, che si rispecchia perfettamente con la luce e l’oscurità del cinema. La foto simbolo di Pordenone Docs Fest 2023 è legata a un articolato progetto artistico di Balsamini che verrà presentato all’inizio del prossimo anno.

 

Appuntamento, dunque, al 29 marzo 2023 con la XVI edizione di Pordenone Docs Fest, che come sempre offrirà un nuovo sguardo sulla realtà, raccontata senza sensazionalismo, superando l'infinità di immagini viste, prodotte e rilanciate per focalizzarsi su temi più urgenti.

Spegnere le luci, rallentare e darsi il tempo per riflettere, con i tanti film che si vedranno a Cinemazero e grazie alle foto di Mattia Balsamini.

 

Mattia Balsamini è un fotografo giovane ma già affermato, nella cui figura e opera la dimensione internazionale si intreccia con quella locale. Nato a Pordenone, si è trasferito a Los Angeles nel 2008, dove ha iniziato i suoi studi al Brooks Institute of Photography concentrandosi sulla fotografia pubblicitaria. Nel 2010 inizia a lavorare presso lo studio di David LaChapelle come assistente di studio e archivista. Nel 2011, dopo aver conseguito la laurea con menzione d'onore, rientra in Italia. Ha insegnato fotografia all'Università IUAV di Venezia, oltre a fotografare ampiamente la tecnologia e le sue implicazioni sociologiche, concentrandosi sul lavoro come fattore di identità dell'uomo. Negli anni ha realizzato progetti personali ed editoriali per istituzioni come il MIT, la NASA, l'Istituto di medicina legale dell'Università di Zurigo, il Max Planck Institut di Monaco e il Politecnico di Milano. La sua attenzione si concentra sulla nozione di lavoro e ricerca scientifica come fattore identitario del genere umano. Le sue immagini rivelano l'interesse per le persone, le loro storie e gli aspetti funzionali della tecnologia. Le sue immagini sono state esposte alla Triennale di Milano, al MAXXI, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, alla Fondazione Prada e all'Istituto Italiano di Cultura di San Francisco e pubblicate su testate del calibro di Financial Times, GQ, GEO, Internazionale, Liberation, TIME, The New York Times, The Observer, The Guardian, Vogue, WIRED. Attualmente è rappresentato dall'agenzia fotografica Contrasto.

www.mattiabalsamini.com


mercoledì 21 dicembre 2022

GIN BACÛR BOTTEGA: FESTIVITÀ NEL SEGNO DEL BERE MISCELATO

 Le festività e i tempi più dilatati, che le caratterizzano, si prestano particolarmente al consumo di Gin Bacûr Bottega, apprezzato tanto in purezza quanto miscelato per la preparazione di svariati cocktail.

L'originale bottiglia ramata viene realizzata con un esclusivo processo di metallizzazione, grazie al quale il color rame diventa parte integrante della superficie esterna del vetro.
Bottega da cinque anni ha allargato la propria gamma di distillati, entrando nel mercato del gin. L'azienda trevigiana ha scommesso quindi sulle potenzialità di questo prodotto che, grazie al Gin Tonic e al bere miscelato in genere, è diventato un asse portante dei consumi dei principali locali di tendenza.
Bottega vanta una tradizione di tre generazioni nel campo della distillazione della grappa. L'introduzione di alcune innovazioni tecnologiche, quali la distillazione sottovuoto, la riduzione del grado alcolico e l'impiego di un terzo passaggio in colonna demetilante, hanno regalato sempre nel segno della tradizione una nuova vitalità alla nostra acquavite di bandiera. La stessa filosofia produttiva è stata estesa anche al gin e si è concretizzata nella creazione di un distillato morbido e di grande aromaticità.
Gin Bacûr Bottega è un Distilled Dry Gin, che sviluppa una gradazione alcolica di 40% vol. È caratterizzato dall'utilizzo di botanicals di origine certificata: bacche di ginepro (Toscana), salvia (Veneto) e scorze di limone (Sicilia). La sua qualità e la sua complessità dipendono non solo dal numero di piante, ma anche dalle condizioni di estrazione delle componenti aromatiche di ognuna di esse.
È indicato per preparare cocktail di varia tipologia, tra cui l'intramontabile Gin Tonic. Questa la ricetta: 40 ml Gin Bacûr, 80 ml acqua tonica, mezza fetta di limone, bacche di ginepro (o salvia o menta), cubetti di ghiaccio. Preparazione. Raffreddare il bicchiere. Versare Gin Bacûr. Aggiungere ghiaccio, una fetta di limone, bacche di ginepro, una foglia di salvia o di menta, acqua tonica. Mescolare bene prima di servire.
Il termine Bacûr, di derivazione preellenica, veniva anticamente utilizzato per indicare il rame.
Il prezzo al pubblico di Gin Bacûr Bottega cl 50 è di circa 24 euro. È disponibile anche in bottiglia da 70 cl, da litro, in mignon da 5 cl e in versione spray da 10 cl.



Una vendemmia sopra le aspettative!

 

VINI D'ABRUZZO: IN TEMPI DI CRISI PREMIATA LA QUALITA' NEI PRIMI NOVE MESI È A +10% IL VALORE DELL’EXPORT, +7,8% IL PREZZO MEDIO.

 

Mottolino Fun Mountain apre il coworking sulle piste