L’artista ha lavorato sul concetto di "erosione" ed "esplosione" paragonando le rivoluzioni analizzate a delle valanghe che trascinano con sé (e provano a cancellare) tutte le vecchie strutture. Claudia De Luca utilizza i pigmenti per dare risalto all'eccezionalità dell'evento storico e l'uso abbondante del nero è lo sfondo da cui partono i tumulti e le insurrezioni improvvise. Il nero, è il contesto neutro, "il vecchio sistema" da rompere, ma soprattutto è il primo passo su cui l’artista irrompe e disegna una nuova narrazione politica, spesso estrema e radicale.
Citando la curatrice Elisabetta Mero: “Le opere di Claudia De Luca riescono a comunicare queste onde di energia rivoluzionaria non controllata che emergono dal buio e che scuotono il precostituito per tornare al buio lasciando traccia di spiragli di luce. La gestione di questa energia sarebbe l’utopistica risposta al linguaggio della prevaricazione”. Attraverso una pratica pittorica che coniuga l’astrattismo del colore con il segno materico, l’artista realizza delle opere che fungono da tramite visivo per una comprensione dei processi rivoluzionari nel loro potenziale e nel loro fallimento. Il ricorso al tessuto (la tarlatana) evidenzia ancora di più l’esigenza di riscrivere, con linguaggi differenti una parola politica che oggi si presenta sempre più anestetizzata e flebile. La tarlantana, presente nei quadri esposti in mostra a Torino è un tessuto imprescindibile e ricorrente nelle opere di Claudia De Luca che lo utilizza come elemento di cura, intendendo con questo termine la delicatezza verso l’oggetto ma anche verso il soggetto che lo determina. Avvolgere il supporto con la tarlantana è un rituale che rende l’artista più sicura e soprattutto determina quella visione “scomposta” necessaria al suo lavoro. Le pieghe, i disallineamenti, gli elementi difformi che il tessuto crea sulla materia sono i punti infatti da cui parte.
A concludere il percorso l'opera "Siparium" che rappresenta anche il sipario delle rivoluzioni fallite che si chiudono con una disfatta, ma presuppongono, sempre e comunque, una nuova apertura. Come sottolinea la curatrice Elisabetta Mero: “Le rivoluzioni fallite mostrano come energie desiderose di ribaltare il sistema del potere non sempre siano riuscite a ottenere i risultati che immaginavano. Tuttavia, seppur soffocate, queste forze si sono comunque innestate nei sistemi contribuendo a rinnovarli e a cambiarli in tempi diversi”.
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