L’esposizione a cura di Cristian Valenti nasce con la volontà di raccontare un artista che, seppur isolato rispetto al circuito dell’arte contemporanea del Novecento, e per questo non inserito nel dibattito critico dell’epoca, ha saputo attraversare il secolo scorso informandosi su quanto accadeva, appropriandosi dei riferimenti della cultura figurativa passata e a lui coeva e rielaborandoli attraverso il filtro del suo stile che ha mantenuto intatto e costante per tutta la vita. Il 1931 rimane uno spartiacque nella sua carriera, l'anno della sua aspra presa di posizione contro il Movimento del Novecento di Margherita Sarfatti, definito come una “formazione politico - commerciale sopraffattrice” e accusato di avere codificato un’Arte di Stato. Da quel momento in avanti per Celada inizia un percorso verso l'isolamento che lo porterà ad essere dimenticato.
È solo nel 1985 che la sua figura viene riscoperta, grazie a Flavio Caroli, che a lui dedica un illuminante saggio che non avrà però seguito nelle successive antologie e mostre dedicate all’arte del primo Novecento. L’esposizione Ugo Celada da Virgilio. Enigma antico e moderno vuole proprio ricollocare l’artista all’interno del contesto culturale del suo tempo, proponendo inediti dialoghi con le opere di altri artisti - suoi contemporanei e antichi maestri - che ben esemplificano come Celada fosse informato sul mondo che lo circondava e sapesse guardare agli altri senza perdere i propri elementi caratterizzanti.
E quale luogo migliore per raccontare questa storia se non il Labirinto della Masone, sede anche della casa editrice di Franco Maria Ricci: due estetiche, quelle di Celada e di Ricci, che parlano la lingua comune della bellezza, testimoniata anche dal ritratto dell’artista già presente nelle collezioni del Labirinto, un gentiluomo elegante e con gli occhiali realizzato con estrema dovizia di particolari, quasi iperrealista.
La mostra espone circa cinquanta opere di Celada e di altri artisti messi con lui a confronto, provenienti perlopiù da collezioni private. Il percorso si sviluppa in tre sale che ripercorrono i generi affrontati dal pittore: gli affetti familiari, i nudi, i ritratti e le nature morte. La prima sala è dedicata agli anni della formazione e della creazione di uno stile personale, soprattutto focalizzato sulla sfera degli affetti familiari, che ben si prestano a restituire la dimensione intima della pittura del realismo magico; il secondo ambiente si concentra sulla rappresentazione della figura umana e quindi della ritrattistica; per ultimo si incontrano le nature morte, molto amate per le infinite possibilità di resa dei dettagli, e i paesaggi en plein air, poco numerosi nel corpus dell’artista, ma che aiutano a restituire un’immagine di pittore versatile e diversificato per stili e generi.
Ugo Celada nasce nel 1895 a Cerese, in provincia di Mantova, oggi chiamato Borgo Virgilio, toponimo con cui firmerà le sue opere, rifacendosi alla tradizione dei maestri antichi che venivano identificati secondo il luogo di provenienza: per lui questa è una dichiarazione programmatica di poetica ed una scelta di campo nel dibattito degli anni Venti tra Avanguardie storiche e Ritorno all’ordine. Fin da giovanissimo mostra una spiccata predisposizione artistica, arrivando a formarsi all’Accademia di Brera a Milano. Negli anni ’20 e all’inizio dei ’30 espone alle Biennali d’Arte di Venezia e alla Permanente di Milano ed è inserito nel circuito dell’arte contemporanea da cui però in seguito si allontana definitivamente.
Émile Bernard definisce Celada l’artista italiano migliore dei suoi tempi, facendo riferimento a quel Nudo disteso del 1926 che oggi risulta disperso, il “Capolavoro Perduto” che rappresenta l’apice del suo successo d'esordio.
La sua vita sarà lunghissima, esattamente 100 anni, muore del 1995 attraversando tutto il secolo breve, dal mondo agrario alle soglie della rivoluzione digitale, e di tutto questo nei suoi dipinti non c’è traccia, sembra che niente riesca a turbarlo, un esempio di resilienza ante litteram.
L’arte di Celada è classica, espressione pura del realismo che proprio all’inizio del 900 ebbe il suo periodo di massimo splendore. Debitore della tradizione figurativa lombarda, egli ricercava in tutto un canone del bello, non una bellezza reale ma rappresentazioni idealistiche. Predilige sempre una oggettivazione dei soggetti per meglio far trasparire la qualità della pittura, nel suo lato più manuale ed artigianale, e questo è evidente nei ritratti, che sembrano tutti apparentemente uguali, senza connotazioni psicologiche, pur essendo tutti diversi.
«Oltre la qualità, inconfutabile, della sua pittura, ciò che emerge in Celada da Virgilio, è il valore non trascurabile della sua esperienza; il ruolo (che ha avuto) di testimone nell’evoluzione delle vicende artistiche del XX secolo, a sua volta impegnato nella ricerca di una sua via dell’arte, per rispondere dei grandi cambiamenti e resistere, per continuare a vivere e a dipingere.» - afferma il curatore della mostra Cristian Valenti - «La sua opera ed il suo atteggiamento costituiscono un tassello importante per comprendere la ricchezza del contesto artistico del Novecento, oltre la semplificazione di ricostruzioni storiografiche organizzate solo per progressivi "momenti di rottura" e quindi a scapito di ricerche che invece perseguono una continuità».
In ogni sala si incontrano dialoghi e confronti inediti: i nudi e le figure femminili sono accostati alle tele di Archimede Bresciani da Gazoldo, anche lui mantovano idealmente considerato il maestro di Celada, e di Virgilio Guidi, molto attivo come artista realista negli anni ’20 e ’30 e che sicuramente ebbe modo di conoscere.
Tra i ritratti spiccano le tele di Cagnaccio di San Pietro, pittore che con Celada condivide una certa sensibilità e che il mantovano sicuramente conosceva e apprezzava, seguendone più volte l’esempio. Non mancano riferimenti più espliciti: in un autoritratto degli anni ’30 Celada si rappresenta di tre quarti, con un pennello in mano e un manichino poggiato sul tavolo in un palese omaggio a Giorgio De Chirico, considerato da lui l’unico dei contemporanei che abbia saputo padroneggiare gli strumenti dell’arte. Anche Giorgio Morandi è presente in mostra, in un confronto basato sulla similitudine e differenza nell’approccio all’essere artista dei due: pur rappresentando entrambi nature morte dall’impostazione simile, Morandi ricercava l’essenza delle cose, mentre Celada tende a una rappresentazione delle cose più vere del vero, che non vuole essere una realtà fotografica, piuttosto una sublimazione formale.
Il percorso espositivo inoltre sarà arricchito da una serie di oggetti - soprattutto vasi - che richiamano quelli che compaiono nei dipinti di Celada e che riprendono lo stile di Venini, Zecchin, Barovier, Scarpa, Seguso, a dimostrare come fosse importante l’armonia della forma per la costante ricerca del bello intrapresa dall’artista.
In occasione della mostra è stato pubblicato un nuovo volume per le edizioni FMR dedicato all’artista con una introduzione del Professor Valerio Terraroli.
Nessun commento:
Posta un commento