Il miglior rimedio a queste problematiche? Scegliere un packaging che contenga minor quantità di caffè. “Un packaging diverso può cambiare la sorte del caffè al ristorante. Preferire ad esempio confezioni da 250 grammi invece che da 1 kg salvaguardia la conservazione della materia prima. Se si prediligono confezioni ridotte, il ristoratore può avere costanza nel garantire ai suoi clienti un prodotto prima di tutto fresco”, spiega Giovanni Corsini, titolare di Agust, torrefazione artigianale bresciana alla terza generazione, che da anni sposa la mission di portare caffè di altissima qualità al B2B. Mito: I primi 10 caffè della giornata sono imbevibili Un pensiero ben radicato nella “cultura generale” del consumatore medio, ma che ad oggi non ha più motivo di esistere. “In passato - spiega Giovanni Corsini - questo problema era legato a una cattiva gestione dell’estrazione del caffè: scarsa pulizia della strumentazione e materiali non adatti per le attrezzature”. A oggi le differenze rispetto a ieri non mancano. In primis riguardo il materiale: “Portafiltri in acciaio invece che in ottone semplificano le procedure di pulizia, rendendo già buono il primo espresso. L’ottone infatti è un materiale più complesso da mantenere pulito e richiede quindi molto più tempo da parte del ristoratore, con la conseguenza di avere un problema in più da gestire. Un portafiltro in acciaio invece semplifica tutto, dà subito un caffè di eccellenza senza dosi sprecate”, spiega Corsini. Alla scelta del materiale si aggiunge poi il supporto della tecnologia. Un esempio su tutti, il macina caffè: “Macina caffè con montata al loro interno una bilancia garantiscono la dose erogata, espresso dopo espresso, facilitando la costanza di macinazione”, conclude sul tema il titolare di Agust. |
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