venerdì 7 ottobre 2016
La campagna ligure - piemontese di Napoleone Bonaparte
"Soldati! Voi siete nudi e malnutriti; la Francia vi deve molto, ma non può darvi nulla. La pazienza e il coraggio che avete dimostrato tra queste rocce sono ammirevoli, ma non vi hanno dato gloria; nemmeno un'ombra ne ricade su di voi. Io vi condurrò nelle più fertili pianure della terra. Province ricche, città opulente, cadranno in vostro potere; vi troverete ricchezze, onori e gloria. Soldati dell'Armata d'Italia! Vi lascerete mancare il coraggio e la perseveranza?"
(discorso di Napoleone a Nizza, alla rassegna delle truppe 27 marzo 1796)
Napoleone Bonaparte viene nominato Generale dell'Armata d'Italia il 2 marzo 1796 al posto del Generale Le Scherer, su proposta di Carnot e con l'appoggio di Barras. Napoleone ha solo 27 anni e si è già distinto come esperto artigliere durante l'assedio di Tolone (11 settembre 1793) e come uomo fedele al governo quando, durante la "crisi del vendemmiaio" (3 ottobre 1795- 13 vendemmiaio), non aveva esitato a difendere la Convenzione facendo fuoco sui simpatizzanti realisti che tentavano di attaccare Le Tuilieries. In poco tempo, bruciando le tappe, Napoleone era diventato comandante in seconda dell'Armata dell'interno e poi (26 ottobre 1795) comandante in capo, uno dei gradi più elevati nelle forze francesi di quel tempo.
Fin dal suo arrivo al Quartier Generale di Nizza (24 marzo 1796) Napoleone impone alle sue truppe un ordine e una disciplina a cui queste erano poco abituate. E, soprattutto, inaugura un nuovo modo di "fare la guerra", basato sulla rapidità delle manovre. La sorpresa diventa una componente fondamentale e determinante per giungere alla vittoria, così come la capacità dei suoi uomini di percorrere enormi distanze attraverso lunghe marce notturne e diurne per poi affrontare lo scontro. Non sbagliarono coloro che dissero: "Napoleone vinse gran parte delle sue battaglie grazie alle gambe dei suoi soldati".
Lo scontro si trasforma in attacco fulmineo finalizzato alla distruzione dell'apparato bellico avversario. L'esercito, suddiviso in petit paquets (apparentemente dispersi ma sempre ad una distanza tale da riuscire a portarsi soccorso reciprocamente), è capace di azioni diversive per confondere il nemico e dispone di abili tiratori scelti, capaci di dare un apporto significativo nei singoli attacchi concentrati e non casuali. I piani di guerra devono, per Napoleone, ispirarsi agli assedi delle piazzeforti; concentrando il fuoco in un solo punto si crea la breccia. Una volta rotto l'equilibrio, la piazzaforte è presa. Il giovane generale comprende che le antiche tattiche di guerra hanno fatto il loro tempo. La battaglia non può più essere vista come ripetizione all'infinito di uno schema prestabilito in cui enormi eserciti nemici contrapposti combattono con mosse piuttosto prevedibili, cercando di catturare il maggior numero di prigionieri possibili.
Fin dai primi momenti della campagna d'Italia Bonaparte mette in atto quelle che possono considerarsi le sue due manovre tattiche per eccellenza: quella per linee interne e quella di avvolgimento del fianco del nemico. Gli spostamenti in linee interne consistono nel far avanzare il grosso delle truppe dietro un'avanguardia spiegata dinnanzi al nemico, che così crede di essere di fronte all'attacco dell'intero esercito, per poi colpire a sorpresa nei punti deboli.
Da subito Bonaparte riorganizza le truppe. Nelle quattro divisioni che costituiscono la parte centrale dell'esercito entra la maggior parte degli uomini validi. Queste comprendono l'avanguardia comandata da Massena, con i generali Laharpe e Meynier, e il grosso, che comprende le due divisioni di Augereau e Séruriér. In tutto 63.000 uomini; ma, in grado di combattere da subito, appena 37.600 soldati. Ufficialmente i pezzi di artiglieria a disposizione sono circa cento. Utilizzabili, però, sono solo una trentina a causa della mancanza di quadrupedi, di cariaggi da trasporto e di munizioni. Anche la cavalleria è messa molto male. L'armamento è scarso e scadente e il servizio sanitario insufficiente rispetto al numero di uomini. Interi battaglioni sono senza scarpe. Molti soldati combattono senza moschetti o baionette. Il morale degli uomini, da mesi senza paga e con poco cibo, è bassissimo.
Nell'aprile 1796 l'armata austriaca è comandata dal Generale Beaulieu, un 75enne che aveva combattuto nelle guerre contro la Prussia, ancorato ad un modo antico di "fare la guerra". Gli austriaci basano le loro azioni sulla scarica di plotone di compagnia o di battaglione. Non danno protezione ai loro schieramenti composti da tre o quattro linee di soldati. Le artiglierie sono spesso piazzate piuttosto a caso. Ogni mossa poi deve essere comunicata in anticipo ad un organo militare di vecchia data, il Consiglio Aulico, il solo che può dare il via alle operazioni, con inevitabili rallentamenti in ogni azione militare e interferenze continue con le decisioni dei generali e dei comandanti sul campo.
Sotto Beaulieu troviamo tre armate: 19.500 soldati sotto il suo diretto controllo, una metà dei quali disseminati tra la guarnigione di Alessandria ed altre zone, ed il rimanente agli ordini dei generali Pittoni e Vukassovich, disponibile come forza di manovra ma, ai primi d'aprile, ancora nei quartieri d'inverno. La seconda armata è formata dai 15.000 uomini del generale D'Argenteau. Ha il suo Quartier Generale nella città di Acqui ed è disposta, secondo la strategia austriaca, lungo una fragile linea di avamposti che vanno da Carcare alle colline sopra Genova. La terza è l'armata del generale Colli: circa 20.000 piemontesi a cui si è unito un distaccamento austriaco agli ordini del generale Provera. Queste truppe sono schierate da Cuneo a, verso est, Ceva e Cosseria.
Il loro compito principale è quello di sorvegliare i passi occidentali attraverso i quali le armate francesi potrebbero fare il loro ingresso in Piemonte. Un'altra armata di 20.000 piemontesi, ad occidente di Torino, agli ordini del principe di Carignano, ha lo scopo di fronteggiare l'Armata delle Alpi di Kellermann. Ma i diversi comandanti nutrono enorme diffidenza l'uno nei confronti dell'altro, tendendo ad agire in modo indipendente. E questo atteggiamento spesso creerà non pochi problemi all'interno dell'armata alleata.
Da subito il Direttorio è chiaro con Napoleone: la guerra dovrà mantenersi con la guerra. Da Parigi arriverà poco o nulla. Anche perché nella primavera del 1796 l'attenzione è tutta rivolta all'Armata del generale Moreau che opera in Germania (Reno), considerato il principale teatro di guerra, mentre la campagna d'Italia è vista semplicemente come un diversivo con cui distogliere forze austriache da quello che viene considerata il fronte principale. Tuttalpiù come un mezzo per rimpinguare le vuote casse dello Stato con i bottini di guerra. Anzi l'idea è quella che il generale Bonaparte, concluse le operazioni in Italia, si unisca a Moreau nel Tirolo per marciare insieme su Vienna. Si sa che Napoleone ha in mente la campagna d'Italia, praticamente nei minimi particolari, già dal 1795 quando, generale d'artiglieria, con un incarico semi ufficiale nel Bureau Topographique del ministero della guerra (una sorta di stato maggiore generale per l'organizzazione degli sforzi bellici, istituita da Carnot nel 1792), ha modo di studiare in modo approfondito rapporti, carte segrete, mappe e strategie che riguardano il settore italiano. Già in quei mesi, in cui non manca di sommergere di suggerimenti e consigli il Comitato di Salute Pubblica, Napoleone si rende conto di come sia essenziale, se si vuol penetrare in Italia attraverso le Alpi, innevate per nove mesi l'anno, impadronirsi innanzitutto delle fortezze piemontesi che controllano tutti i valichi. Non è un caso che il Regno di Sardegna sia chiamato il "portiere delle Alpi".
Come luogo ideale da cui passare Bonaparte individua il punto in cui, dopo il Col di Tenda, le montagne di San Giacomo decrescono vicino a Savona ed iniziano gli Appennini.
Carcare, punto debole nella congiunzione tra forze piemontesi e austriache, e Ceva, da cui si raggiungono le zone interne del Piemonte, risultano così strategici già nel 1795, per realizzare il piano che Napoleone porterà avanti nell'aprile del 1796: inserirsi con le proprie truppe, come un potente cuneo, tra l'esercito austriaco e quello piemontese, in modo da costringere il secondo ad un armistizio separato (il futuro Cherasco), per concentrarsi poi contro il primo, con l'obiettivo di conquistare l'intera Italia Settentrionale e oltre. La conquista del Piemonte rappresenta quindi per Napoleone, nel 1796, il primo passo verso la vittoria contro il nemico numero uno della Francia: l'Austria.
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