In contemporanea sarà presentato un nuovo allestimento de La Collezione Impermanente #3.0 e una selezione di fotografie parte della Raccolta Lanfranco Colombo.
Dora Budor. Kollektorgang (XV –XXIV), 2021. Installation view Continent, first floor Kunsthaus Bregenz, 2022.
Photo: Gina Folly. Courtesy of the artist © Dora Budor, Kunsthaus Bregenz
14 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023 DORA BUDOR. INCONTINENT a cura di Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni La prima mostra personale in un'istituzione italiana dell'artista croata presenta una riflessione sulla natura originaria del quattrocentesco Monastero delle Dimesse e delle Servite che oggi ospita il museo Per la sua prima mostra personale in un'istituzione italiana, l'artista di origine croata Dora Budor(Zagabria, 1984) presenta un progetto inserito nello Spazio Zero della GAMeC. Concepita in relazione alla mostra Continent presso la Kunsthaus Bregenz (2022), la personale considera le specificità del contesto di molteplici istituzioni come strutture ricorsive, sottolineando come le variazioni di sede in sede influenzino la percezione dell'opera. Nel contesto della GAMeC, gli interventi dell'artista esaminano le prerogative costruttive e architettoniche dei caratteristici spazi museali, frutto del restauro del monastero quattrocentesco delle Dimesse e delle Servite, a opera di Vittorio Gregotti. A Bregenz, Budor ha prodotto alcuni calchi delle sezioni del tunnel a diaframma che circonda le fondamenta sotterranee del museo austriaco, la cui funzione è impedire il collasso degli edifici adiacenti ed espellere le infiltrazioni di acqua e fango provenienti dal suolo alluvionale su cui poggia lo stabile. Le opere, intitolate Kollektorgang (I-XIV), Kollektorgang (XV-XXIV), e Kollektorgang (XXV-XXIX) (tutte risalenti al 2021), includono rimanenze della produzione manutentiva e amministrativa come materiale di partenza. Nel contesto dell'ermetico Spazio Zero della GAMeC, la disposizione di Kollektorgang ostruisce le entrate e crea un corridoio che circonda la stanza. Sin dal principio, la pratica monastica ha visto i corridoi come strumenti per accelerare il ritmo con cui venivano recapitati i messaggi, promuovendo questo spazio di circolazione come strumento di velocità. Attraverso le successive relazioni con i flussi della modernità, la rivoluzione corridoriale del diciannovesimo secolo ne ha in seguito ampliato gli usi, comprendendo, tra questi, la sanificazione, la sorveglianza, e l'istituzionalizzazione, incanalando e definendo così le persone attraverso i suoi regimi spaziali. Jean Des Esseintes, personaggio immaginario creato da Joris-Karl Huysmans nel suo romanzo "Controcorrente", riflette: "Costruiamo muri per bloccare il mondo esterno, eppure appendiamo dipinti di paesaggi quali sostituti preferiti". Lo storico dell'architettura Robin Evans cita questa stessa storia per spiegare come strutture simili siano adatte al ritiro, come i monasteri, oppure a racchiudere ed escludere comportamenti che potremmo percepire come pericolosi, come le prigioni*. Di conseguenza, alcuni monasteri sono stati opportunamente convertiti in prigioni e altri in musei. Un'illusoria sensazione di immunità e impenetrabile separazione tra il Sé e l'istituzione si crea come risultato di questo processo; quando, invece, ciò che sembra essere esterno scivola continuamente verso l'interno, come nel caso del linguaggio, della digestione e dell'infrastruttura. Termites (2022), composta da sex-toys telecomandati posti all'interno di un dotto di ventilazione che eroga un flusso d'aria fresca, produce un riverbero continuo. I produttori del piacere industrializzato compromettono l'integrità dello spazio espositivo, comunicando un senso di disfunzionalità infrastrutturale con la loro stimolazione al puro godimento contro la finalità riproduttiva. Appesa nella stanza adiacente, di fronte alla serie di finestre protette da sbarre metalliche, si trova una sequenza di frottages tratti dalla serie Love Streams (2022). In queste opere, gli antidepressivi sono usati come sostanza marcante nello sfregamento sui muri e sui pavimenti dello studio temporaneo dell'artista a Berlino. Essi postulano la competizione per il raggiungimento del piacere e del benessere, indotta dal capitalismo, come generatrice di forme, tracciando una linea sottile tra l'usare e l'essere usati dagli effetti che costituiscono la nostra realtà contemporanea. Testo di Morin Sinclaire
Flatform. Quello che verrà è solo una promessa (That which is to come is just a promise),2019. Digital video, 2K22 mins. Courtesy Flatform
14 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023 FLATFORM / ARTISTS' FILM INTERNATIONAL a cura di Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni Prosegue la partecipazione della GAMeC ad Artists' Film International, il prestigioso network dedicato alla videoarte che dal 2008 coinvolge alcune tra le più importanti istituzioni d'arte contemporanea internazionali e artisti provenienti da tutto il mondo. Come di consueto, ciascuna istituzione è stata invitata a segnalare un artista del proprio Paese e a presentare il suo lavoro attraverso un'opera video in relazione alla tematica proposta, che per questa edizione – che vede proseguire il format ibrido adottato lo scorso anno, sia online che in presenza – è il "Clima". Le curatrici Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni hanno selezionato per la GAMeC l'artista collettivo Flatform con l'opera Quello che verrà è solo una promessa (That which is to come is just a promise) (2019), che sarà presentata al pubblico dal 14 ottobre 2022 all'8 gennaio 2023, e online sul sito del museo durante la prima settimana di programmazione. La promessa suggerita dal titolo del cortometraggio è quella innescata dal passaggio dallo stato di attesa a quello di sorpresa, ovvero la possibilità o meno che situazioni che nel presente si mostrano solo per lacerti, bagliori oppure assenze, si compiano. E quella promessa è anche riferita alla probabile sparizione di Tuvalu, microscopico Stato in mezzo all'Oceano Pacifico, a causa del cambiamento climatico. Una promessa che è in realtà una minaccia di impotenza, indecisione e inquietudine. Il film è girato a Funafuti, un atollo dell'arcipelago di Tuvalu dove da qualche anno per effetto del surriscaldamento del mare l'acqua salata risale dal sottosuolo, affiora attraverso le porosità dei terreni e li allaga mettendo a rischio il futuro della vita sull'isola. In un lungo piano sequenza si avvicendano fluidamente lo stato di siccità e quello di allagamento, senza interruzioni. I luoghi e le azioni dei suoi abitanti mettono a dimora le due situazioni ricorrenti dell'isola: la sospensione data dal ripetuto stato di passaggio fra solido e liquido, fra secco e inondato, e l'incertezza da viversi nell'attesa della prossima modifica, che costringono l'uomo a riflettere sulla sua condizione, e a rimetterla costantemente in discussione, come unica possibilità di adattarsi al mondo. Congiuntamente a Quello che verrà è solo una promessa (That which is to come is just a promise) saranno presentati in museo anche precedenti lavori di Flatform – Quantum (2015) e Movimenti di un tempo impossibile (2011) – che ben ne raccontano la poetica, ovvero la volontà di creare realtà con nuovi piani temporali e spaziali, interrompendo continuamente i normali processi che dalle cause conducono agli effetti. Dal 24 ottobre, con cadenza settimanale, il sito della GAMeC ospiterà inoltre una selezione dei film proposti dalle altre istituzioni partecipanti alla quattordicesima edizione, tra cui: Whitechapel Gallery, Londra; Neuer Berliner Kunstverein (n.b.k.), Berlino; Crawford Art Gallery, Cork; Museum of Modern Art, Varsavia; The Bag Factory, Johannesburg; Project 88, Mumbai; CAC, Vilnius.
Nessun commento:
Posta un commento