mercoledì 13 dicembre 2023

Il lunari des anconis

 


Da sempre l’Ecomuseo presta un’attenzione particolare a quello che viene definito “patrimonio minore”, ovvero i beni e le opere che punteggiano il territorio e che sono espressione della comunità, della sua cultura, del suo modo di manifestarsi. Questo patrimonio ogni anno trova legittimazione nelle pagine del lunario che l’Ecomuseo confeziona: il lunari 2024 è dedicato ai segni devozionali, come le ancone, i capitelli votivi, i crocifissi, gli affreschi murari, ancora presenti lungo le strade, ai bivi, sulle facciate delle case. Il calendario verrà presentato sabato 16 dicembre alle 17 nel LAB terremoto in piazza Municipio 5 a Gemona del Friuli. Le foto come da tradizione sono di Graziano Soravito, che si è impegnato in una capillare e appassionata ricerca dei vari segni della fede distribuiti sul territorio gemonese.

Ancone e crocifissi facevano parte del paesaggio delle campagne e dei paesi, erano espressione di quella civiltà contadina che riservava un posto privilegiato alle manifestazioni di Dio, a chi lo rappresentava, alle cerimonie che lo richiamavano. Poteva trattarsi di un ex voto per uno scampato pericolo, essere meta della celebrazione delle rogazioni, porsi come luogo di preghiera dove la comunità si ritrovava per recitare il rosario o celebrare una messa. Di tutte le ancone inserite nel lunario si raccontano la storia e le vicende che le hanno segnate. Alcuni dipinti sono opera di pittori locali di un certo nome e conservano ancora la memoria del committente, un altro criterio alla base della scelta è stata l’esigenza di rappresentare la pluralità dei segni devozionali (capitelli, nicchie, affreschi murari, croci…).

«Lis anconis ‘e son un document rampit de vite dal popul, une espression de pietât popolâr, un trat de nestre antighe identitât. La lôr pierdite ‘e segne duncje une modifiche profonde dal orizon de nestre civiltât. Al è di augurâsi che cualchidun j pensi parsore e al dedi une man par salvâ almancul alc di chest patrimoni culturâl» (Gian Carlo Menis, “Buje pore nuje”, 1988).

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