«La morte dell'altro uomo mi chiama in causa e mi mette in questione, come se io diventassi, per la mia eventuale indifferenza, il complice di questa morte, invisibile all'altro che vi si espone; e come se, ancora prima di esserle io stesso destinato, avessi da rispondere di questa morte dell'altro: come se dovessi non lasciarlo solo nella sua solitudine mortale.»
E. Lévinas-A. Peperzak, Etica come filosofia prima (1989), trad. it. di F. Ciaramelli, Guerini e Associati, Milano 2001, III, 4, p. 56.
Ab origine e secondo la pluralità di moduli che ingloba, il termine dialogo (dal latino dialŏgus, in greco antico διάλογος, derivato di διαλέγομαι «conversare, discorrere» composto da dià, "attraverso" e logos, ”discorso") indica il confronto principalmente verbale, inteso come procedimento di ricerca a tutto spiano, condotto tra due o più interlocutori e inteso come strumento per esprimere sentimenti eterogenei, i punti di vista di ciascuna delle parti coinvolte e per discutere di idee non necessariamente contrapposte. L’interazione dialogica, qui intesa come strumento di strategia espositiva tra due volti, va certamente intesa, nel suo significato più intrinseco, come momento di apertura, libertà di scambio reciproco, rispetto e accoglienza dell’altro. Nella fenomenologia dell’intellettuale francese Emmanuel Lévinas, per esempio, il dialogo, che coinvolge esseri umani finiti nella ricerca di una verità non terminabile, diventa strumento di una coscienza intenzionale che incessantemente tende verso l’infinito ed è fortemente connotato dalla presenza del sensibile e dal desiderio di svelare l’invisibile. La conversazione, intesa come sinonimo di dialogo, si articola in due momenti: prima quello dell’apertura, intesa come inizio della conversazione stessa, e successivamente quello dello sviluppo, meccanismo tipico dell’analisi conversazionale che si basa sulle famigerate coppie adiacenti, altrimenti dette di azione e reazione. La conversazione si può certamente considerare come la forma prototipica del dialogo faccia a faccia e, nello specifico, con il dialogo condivide infatti i due tratti centrali dell’interattività e dell’intenzionalità. E come in ogni produzione linguistica, le varie forme della conversazione sono fortemente influenzate dal contesto. Una dialettica di stampo prettamente estetico risente di tutti questi aspetti caratteristici del dialogo e li enfatizza portandoli all’estremo limite, palesando una ricerca continua verso un non detto che si dice tra balzi strutturali e rimandi visivi in un gioco infinito che affonda le basi nell’articolata ricerca artistica dei due interlocutori.
Da un lato, l'artista ateniese Dora Economou, classe 1974, la quale, tra cenni autobiografici, possibili mistificazioni della realtà e cenni alla casualità, alla parzialità e alla mutabilità, ottempera magistralmente alla propria ricerca artistica mediante assemblaggi low-fi fatti rigorosamente a mano e realizzati mediante l'utilizzo di materiali particolarmente economici e di frequente uso quotidiano, nonché di objets trouvés. Economou, passeggiando, osservando, leggendo e ascoltando, rintraccia e recupera una serie di elementi e di riferimenti eterogenei che risultano essere fondamentali per la creazione delle sue opere. Difatti, l'utilizzo consapevole di materiali come tessuto, legno, nastro adesivo e carta conferisce alle sue opere, fortemente connotate da ruvidità e timidezza, caducità e vigorosa intensità, una palpabile ed ossimorica fragilità. Per di più, per meglio comprendere il suo complesso sostrato sia intellettuale sia stilistico, è bene sottolineare che la pratica di Dora Economou fa costantemente riferimento alle opere di artiste di rilievo degli anni settanta, alla facinorosa scultura espressionista e alla corrente, storicamente fondamentale, post-femminista; attraversa visivamente l'emisfero scultoreo contemporaneo associato principalmente alla scena di Glasgow degli anni novanta, fino ad approdare a quella nuova generazione di artisti tedeschi che si prefiggono l'obiettivo di esplorare formalmente l'eredità del modernismo mettendolo amabilmente in relazione con la cultura pop, il design contemporaneo e l’architettura;
dall’altro, il lavoro del giovane artista moscovita Andrei Pokrovskii, classe 1996, il quale si occupa principalmente del concetto di spazio e delle sue modalità di rappresentazione, nonché della percezione umana in relazione a vari luoghi, tra reali, mitici e virtuali, attraverso l'esperienza maturata nel loro contesto che spazia dall'emisfero sensuale a quello comportamentale e dal meditativo all'emotivo. Ricreando volutamente il processo di attaccamento a un luogo e salvaguardandone la vicinanza con esso, Pokrovskii costruisce di volta in volta prosceni sempre più sorprendenti attraverso i quali poter favoleggiare di storie differenti, concepite a loro volta come delle vere e proprie pièces teatrali in cui è possibile tracciare tutte le varie fasi di mutazione percettiva. Mediante l'utilizzo di questo modello stilistico cosiddetto di scenario spaziale, egli controlla sovente i personaggi che fungono da estensione del luogo ospitante. Oltre a ciò, le pose delle figure appaiono spesso statiche, quasi paralizzate, così da risultare, in ultima istanza, come fossero inermi sculture esclusivamente ornamentali. Facendo in modo che sia il soggetto sia il registro stilistico del dipinto si adattino all’ambiente, e attraverso l'utilizzo e le combinazioni sia di vari materiali pittorici sia di elementi scultorei, tra cui embrioni di maniglie delle porte, mobili, elementi sia architettonici sia naturali, tutti in costante tensione tra interno ed esterno e viceversa, Pokrovskii colma un possibile divario tra l'opera d'arte e lo spettatore, rendendo così l'opera un artefatto di quel luogo favolistico che essa stessa raffigura.
Domenico de Chirico
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