z2o Sara Zanin è lieta di presentare Come il vento nelle case, prima personale di Guglielmo Maggini all’interno degli spazi di z2o project. La mostra aprirà al pubblico venerdì 12, sabato 13 e domenica 14 maggio e sarà parte degli eventi in programma in occasione di Tuttacittà, il Rome Gallery Weekend organizzato da trentadue gallerie romane.
“Dobbiamo essere martelli che spaccano i vetri per far entrare il vento nelle case” (dal catalogo della retrospettiva del 2011 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, a cura di Angelandreina Rorro): a questa dichiarazione pronunciata da Giacinto Cerone si lega indissolubilmente il titolo scelto per la prima personale di Guglielmo Maggini presso z2o project, Come il vento nelle case.
Essere martelli che spaccano i vetri lasciando una traccia tangibile del proprio passaggio, diremmo noi, senza alcun timore di far entrare il vento nelle case è una frase in grado di restituire, attraverso una sintesi puntuale e radicale, la portata dello sconfinamento attraverso lo spazio. Come il vento nelle case indica l’istante successivo all’abbattimento dei vetri, il momento eterno e impercettibile in cui la brezza passa attraverso le finestre, gonfiando i polmoni della casa. Il luogo che ospita la mostra di Maggini è anche questo: uno spazio domestico in cui si condensano le memorie mai vissute di ciò che un tempo si è stati/di ciò che non si è più. Non è forse un caso che l’immagine scelta dall’artista a guida della mostra – un’immagine personale sì, ma al contempo estendibile a una percezione più ampia, quando non apertamente universale - raccolga, in nuce, molti degli elementi che, per traslato, sono rintracciabili nel corpus di lavori prodotti appositamente. Il femminile è sùbito avvertito come elemento di congiunzione tra il sé e l’altro, come ponte di continuità tra dentro e fuori, domestico e pubblico, come pura energia in divenire in grado di intercettare il nostro sguardo di fanciulli. Allo stesso tempo, il vento come movimento di masse d’aria atmosferica è l’elemento naturale generatore, ciò che garantisce lo sviluppo, alla stregua di metabolismi indipendenti, delle particelle elementari di cui l’argilla, le resine e le schiume come il memory foam – materiali di elezione nella nuova serie di opere prodotte per la mostra - si compongono, avviando così quella trasformazione di stato che trova ampio margine concettuale nella ricerca di Maggini.
Nell’insieme di opere presentate – sculture in ceramica e resine, installazioni in memory foam – Maggini arriva a una sintesi della propria ricerca mettendo a punto non soltanto uno studio dei materiali a lui particolarmente cari ma anche evidenziando il potenziale immaginifico della scultura attraverso una dialettica tra alto e basso che dalle suggestioni dell’ornato classico con le stilizzazioni di motivi naturalistici, passa per la storia del Modernismo e sconfina negli anni Novanta capitombolando in un film di John Waters che fa il verso al Minimalismo e all’oggetto de-funzionalizzato. Il referente qui diviene importante soltanto a uno stadio iniziale; la creazione di uno spazio organico attraverso forme e volumi, pieni e vuoti, presenze e assenze predomina nell’articolazione di una dinamica visiva in piena trasformazione.
È così per esempio che nella serie di sculture in ceramica e resina Tentativo di forma la giustapposizione degli elementi formali avviene attraverso un principio di sottrazione che genera anfratti e cavità, curve sinuose e avvallamenti, conformando la scultura come un elemento unico in cui colore e modellato divengono un tutto organico. Nell’impiego di ceramica e resina, affini e al contempo antitetici, Maggini sperimenta una ibridazione tra materiali dimostrando ancora una volta la centralità del principio di trasformazione: da fossile organico a prodotto organico sintetico, il passaggio di stato da liquido a solido si rivela quasi come un passaggio di consegne di madre in figlio. La resina fa da elemento di congiunzione per amalgamarsi alla ceramica, divenendo un tutt’uno con essa.
Rogo di ricordi arancioni è una scultura che prende il piano della parete componendosi di tre parti modulabili: il criterio che sottende alla possibilità di modulare la scultura e con essa la parete abbandona decisamente la modularità geometrica per trasformarla in un fiammeggiante tripudio di lembi aperti. A questo punto emerge un’altra componente centrale nella ricerca di Maggini che ha a che fare con la visceralità e il corpo – un corpo in frammenti, che rivela il proprio interno quasi a voler uscire dalle viscere per rendersi completamente palese – rendendo spesso le sculture e le installazioni dei surrogati, delle presenze perturbanti in cui protuberanze ed escrescenze mimano componenti sinuose lasciandoci increduli davanti alla possibilità di testare il confine ambiguo tra duro e morbido, naturale e artificiale, mostruoso e accattivante. La serie dei Pillow Talks e dei Volumi – soffici installazioni a parete e ambientali – riarticolano così l’oggetto quadro e il volume dando loro un senso rinnovato. Il colore - guadagnando una palette che spazia dai rosa cipria al beige, passando per il giallo senape, il verde e il blu elettrico - arriva quindi a giocare il ruolo centrale di membrana permeabile, epidermide pura che tradisce, però, la sua natura artificiale e, per questo stesso motivo, attrattiva e ad un tempo repulsiva.
Quello di Maggini è un linguaggio massimizzato che fa dello spazio un corpo vivo sottoposto alla trasmutazione delle forme, una casa dei ricordi da riscrivere e che ancora devono avvenire.
(Angelica Gatto)
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