La Permanente dà inizio con questa
mostra a un progetto che ne ripercorre la storia con una serie di personali
dei grandi maestri che ne hanno fatto e ne fanno parte. La prima di queste
esposizioni è dedicata a un artista indiscutibile, la cui ricerca ha
attraversato la seconda metà del Novecento ed è giunta fino all’oggi,
mantenendo, negli anni, la propria forza e la propria credibilità: Mino
Ceretti.
La mostra traccia un percorso nella
produzione dell’artista, suggerendo letture su alcuni dei suoi temi principali
mediante una selezione di opere datate dagli anni Sessanta a oggi
(scelte tra quelle conservate nello studio dell’artista), e “trascura”
intenzionalmente la sua fase più nota e dibattuta, quella del Realismo
esistenziale.
Quella proposta da Ceretti è, fin dagli
esordi, una pittura priva di ogni retorica ideologica, poco incline
all’adesione politica militante, vicina all’inquietudine e ai dubbi di Sartre e
Camus. La visione dell’artista è sempre ambigua, procede per intuizioni e
suggerimenti, offre allo spettatore una serie di oggetti collocati liberamente
nello spazio della tela, capaci di generare interrogativi. La pittura è dunque
uno strumento idoneo all’indagine del mondo esterno, ma non nel senso
classico di rappresentazione: attraverso la possibilità di attuare meccanismi
associativi e sollecitare simultaneità di percezioni, essa riesce a suggerire
la frammentazione della realtà e dell’esistenza, in tutta la sua complessità e
ambiguità.
L’arte può scuotere la società dalla sua
pigra indifferenza, dallo stato narcolettico in cui pare caduta. In un’epoca
che pare averla messa in un angolo – tra nuove tecniche di riproduzione
dell’immagine, nuove tecnologie, nuove esperienze creative e lo strapotere del
mondo digitale –, la pittura ha ancora un suo motivo di esistere ed è
ancora capace di porre, scomporre, sezionare, ricomporre problemi.
Nessun commento:
Posta un commento