29 gennaio – 27 marzo 2020
Fondazione Adolfo Pini – Corso Garibaldi 2, Milano
Opening: martedì 28 gennaio, ore 18.30
www.fondazionepini.net
Milano, gennaio 2020 - Dal 29 gennaio al 27 marzo 2020, la Fondazione Adolfo Pini presenta la mostra Bongiovanni Radice Una pittura borghese.
Per la prima volta, nello spazio al piano terra della Fondazione
saranno esposti, in una veste insolita, i lavori pittorici dell’artista,
la cui valorizzazione rappresenta uno degli scopi principali dell’Ente.
Renzo
Bongiovanni Radice (1899-1970), zio materno di Adolfo Pini, visse e
lavorò nell’elegante palazzina di fine Ottocento in corso Garibaldi 2,
dove il nipote diede vita alla Fondazione Adolfo Pini anche con
l’obiettivo di promuovere l’arte in tutte le sue forme, attraverso
studi, esposizioni e il sostegno a giovani artisti emergenti.
Le
opere in mostra raccontano la carriera pittorica e l’anima di
Bongiovanni Radice, dal ventennio del Novecento fino agli ultimi anni
della sua produzione artistica (1970). I cinquant’anni in cui si dipana
la sua vicenda sono probabilmente tra i più vulcanici di tutta la storia
dell’arte, ma Bongiovanni persegue la sua strada in solitaria, senza
preoccuparsi delle “novità”. Cerca infatti di affinare sempre più
quell’idea di pittura tradizionale in cui si riflettono mille
suggestioni mutuate da altrettanti artisti, che assume allo stesso tempo
quell’aspetto di “decoro” tipico della borghesia industriale milanese.
Quasi una ricetta: conoscere tutto, prendere il meglio, lasciar
sedimentare sino a quando il meglio, raffreddato, non rischia più di
bruciare il palato.
I
maestri cui Bongiovanni Radice attinge direttamente - per
frequentazione o indirettamente - sono: Attilio Andreoli, André Lhote,
Arturo Tosi, Carlo Carrà, Alberto Magnelli (nella sua fase figurativa a
cavallo del 1930), Maurice Utrillo, Mario Mafai, Virgilio Guidi, Filippo
De Pisis, Piero Marussig, Giorgio Morandi, indietro fino a Tranquillo
Cremona, a Edgar Degas, persino a Eugène Delacroix. Si riconosce allora
una derivazione ottocentesca importante, una pacata adesione agli
stilemi del Novecento italiano, senza però il monumentalismo delle
figure, che non sono tra i soggetti preferiti di Bongiovanni, dopo il
suo primo periodo, e una curiosità spinta sin quasi alla citazione dei
vedutisti più famosi tra Sette e Ottocento. Ma ciò che alla fine esce da
tutte le opere è la malinconia di un uomo solo con sé stesso, impegnato
in un rapporto stretto con la natura - di qui la vocazione al paesaggio
-, cui chiede risposte all’esistenza, mentre le città che pure ha amato
- Milano, Parigi, Venezia - sono quasi sempre ritratte in inverno e
vuote dei loro abitanti.
Prima
di essere un pittore, Renzo Bongiovanni Radice è un uomo del suo tempo.
Un’affermazione che, applicata al pittore, assume il valore
contemporaneamente di una conferma e di una rinuncia. Una conferma, nel
senso della sua vocazione artistica e pittorica; una rinuncia, perché
l’ambito familiare – cioè il contesto altoborghese entro cui viveva – lo
ha amabilmente distolto dal poter vivere appieno questa esperienza
esistenziale.
Nessuno
lo ha costretto ad occuparsi d’altro, ma la sua certa vocazione
malinconica e le difficoltà del sistema dell’arte – così aggressivo e a
tratti spietato nella competizione tra artisti – l’hanno indotto a non
entrare nell’agone e a rimanere per così dire in bilico tra la pittura
come mestiere e la pittura come diletto. Proprio la comprensione della
famiglia nei confronti della sua vocazione gli ha consentito di
sperimentare in assoluta tranquillità i segreti della pittura.
Nessun commento:
Posta un commento