L’idea del progetto nasce durante le prime settimane di lockdown obbligato dallo scoppio della pandemia Covid19. In quel periodo, infatti, Lorenzo Ceva Valla sperimenta l’esigenza di documentare quanto stava accadendo attraverso il mezzo artistico che gli appartiene, la fotografia. Per 39 giorni consecutivi scatta quindi una media di 30 fotografie al giorno, dalle prime luci dell’alba fino alla notte, con un solo soggetto, l’unico che riusciva a vedere dalla ua finestra: un cantiere, simbolo di qualcosa che dovrebbe per definizione muoversi, ma che per cause di forza maggiore rimaneva inattivo e immobile, come tutti noi.
Gli scatti del medesimo soggetto, sospeso tra natura, spazio e tempo, diventano però il volano per raggiungere qualcos’altro, che va oltre la dimensione che percepiamo. La successione “ossessiva” di immagini, solo apparentemente identiche ma in realtà uniche, comunica infatti la forza poetica della dimensione “incantata” risvegliata proprio dalla fotografia, dove ogni dettaglio, ogni minimo cambiamento si rende evidente all’occhio grazie alla tecnologia e all’altissima risoluzione utilizzata.
Non è vero, dunque, che tutto era immobile e lo dimostrano nel collage il modificarsi della luce, della natura e il susseguirsi delle stagioni, ma anche alcuni dettagli: la traccia luminosa lasciata dal passaggio della stazione spaziale internazionale (ISS), l’apparire del riflesso della luna che si staglia dall’altro lato del cielo, e ancora un individuo con una camicia bianca – Lorenzo Ceva Valla stesso – a bordo strada, omaggio ironico dell’artista a “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock. Sono solo alcuni dei dettagli che si possono notare dalla sequenza di foto, simboli della vita che continua al di fuori della fissità. È in questo modo che, ne Il cantiere incantato, l’immobilità si trasforma in movimento, proprio come quando dal vagone di un treno fermo, ne vediamo un altro che sta viaggiando e abbiamo l’impressione di muoverci anche noi.
Il cantiere incantato è un progetto nato a tavolino ed è stato un modo per Ceva Valla non solo per raccontare il suo lockdown, ma per fare una riflessione sulla fotografia, suo mezzo espressvo di elezione che, in quel momento, ha scandito per lui proprio il ritmo delle sue giornate e ha avuto un ruolo salvifico e catartico.
Il progetto rappresenta anche il pretesto per riflettere sulla dimensione del tempo percepita in quei giorni: un tempo espanso e dilatato, colto dalla lunga successione di fotografie, tanto più difficile da comprendere a causa del modo in cui la nostra memoria percepisce i ricordi montati come nella sequenza scenica di un film. Un tempo quasi impossibile da cogliere, se non attraverso l’arternarsi di luce e buio e di tutti quegli elementi naturali che ne danno traccia. E quindi Il cantiere incantato dà l’opportunità di meditare sull’aspetto psicologico della clausura, del “carcere”, della fissità della vista. Ma è anche l’occasione per parlare dell’evoluzione dei paesaggi urbani, della città che cambia sotto i nostri occhi inconsapevoli, e della natura che proprio durante quei mesi di lockdown è stata capace di riappropriarsi dei suoi spazi.
Il cantiere incantato pone l’accento su tutti questi temi, con l’obiettivo di stimolare una riflessione, di condividere un’esperienza sì esclusiva, ma che ha toccato tutti noi. È per questo che, a coronamento della mostra, sono previsti una serie di incontri, dibattiti e momenti conviviali con persone che sono state a proprio modo parte del progetto, per approfondire insieme a loro tutti i livelli di riflessioni che esso ha portato in superficie.
In mostra saranno presenti anche alcuni scatti de I Lorenzi, progetto parallelo di “sdoppiamento multiplo” dell’identità del fotografo, un backstage ideale de Il cantiere incantato: composizioni sceniche ironiche e surreali in cui le tante identità di Ceva Valla si presentano ritratte in ruoli e stati diversi e contemporaneamente.
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