Colle Manora, nota azienda vitivinicola del Monferrato, splendida area piemontese che l'UNESCO ha identificato come Patrimonio Mondiale dell'Umanità, riconosce con orgoglio la sua paternità nell'elevare l'Albarossa ad autentica eccellenza enologica. Un vitigno autoctono dalle caratteristiche straordinarie che ha trovato, nella tenacia e nella visione lungimirante, e audace, di Colle Manora, un luogo in cui esprimere al meglio la sua identità ineguagliabile.
Il profondo legame tra Albarossa e Colle Manora affonda le radici alla fine degli anni '90, quando l'azienda fu introdotta a questa varietà unica grazie ad un incontro presso il Centro Sperimentale di Vitivinicoltura di Carpeneto, tra le colline dell'Alto Monferrato. In seguito ad alcune micro vinificazioni di diversi incroci, emerse il più apprezzato ed interessante, l’Albarossa: "Da quel momento ha avuto inizio la produzione delle barbatelle, da lì è scattata la scintilla" sottolinea Valter Piccinino, enologo di Colle Manora.
“I primi impianti sono del 2003 e quest’anno festeggiamo i primi 20 anni di Albarossa. L’evoluzione è positiva perché il vigneto ora è nel pieno della maturità. In questi anni abbiamo dovuto farci le ossa, perché non avevamo dei parametri di riferimento o dei colleghi che l’avessero coltivata in precedenza. Questo fa dell’Albarossa un prodotto di nicchia, una “chicca”. La nostra particolarità, rispetto agli altri produttori, sta nella vinificazione. Dopo diverse vendemmie di studio e di alternative produttive, abbiamo deciso di non usare legno per l’affinamento ma esclusivamente acciaio. Una scelta legata alla volontà di far emergere l’identità e l’unicità di quest’uva”.
"È un vitigno da piantare in posizioni adeguate” prosegue Piccinino, “necessita di attenzione costante durante la stagione. In annate piovose, si difende molto bene dal marciume ma patisce sia i luoghi troppo freschi che quelli troppo soleggiati, dato che teme molto le scottature. L’acino è piccolo ed il grappolo molto compatto.”
Le caratteristiche distintive dell'Albarossa, frutto dell'incrocio tra la Barbera e il Nebbiolo di Dronero (conosciuto come Chatus, clone antico e diffuso tra Piemonte e Francia, in Alta Savoia fino all’Ardèche) si manifestano in un bouquet aromatico che unisce i frutti rossi di sottobosco con note pepate, un colore rosso-violaceo quasi impenetrabile e una struttura che sposa l'acidità, il corpo e il colore della Barbera con i tannini setosi e la capacità di invecchiamento del Nebbiolo.
Pur derivando da due genitori piemontesi che lo identificano pienamente come un vitigno identitario, l’Albarossa tuttora rappresenta un vino innovativo, contemporaneo nella sua storia che comincia nel 1938, da far conoscere e degustare. La sua caratteristica speziatura lo avvicina non solo alle ricette mediterranee ma anche a cucine internazionali come quella indiana ed egiziana che amano i sentori speziati.
In questi 20 anni l’Albarossa ha rappresentato per Colle Manora un percorso di conoscenza, scoperta, dedizione e apprendimento. Il vigneto ha attraversato fasi altalenanti, e oggi raggiunge una maturità che si traduce in un vino di straordinaria qualità: Ray Piemonte Albarossa DOC.
Ray è l’Albarossa interpretata da Colle Manora: un vino esclusivo, raro, misterioso, eccentrico e soprattutto espressione di questa terra.
I molti riconoscimenti ottenuti, tra cui la recente vittoria della medaglia d'oro al Mundus Vini, consolidano ulteriormente il prestigio e l’unicità di questo vino sul palcoscenico internazionale. Un riconoscimento che, oltre a gratificare il lavoro svolto, spinge l'azienda a perseguire con determinazione la strada della valorizzazione dell’Albarossa.
Colle Manora guarda al futuro con fiducia, prospettando un'espansione e una promozione mirata dell'Albarossa, come testimonia Piccinino: “Anche nelle nostre zone rimane un vitigno poco conosciuto, c’è da lavorare molto, bisogna investire in promozione ma dobbiamo muoverci in gruppo, per questo facciamo parte dell’Albarossa Club, nato nel 2015 per promuovere questo vino straordinario. È una sfida complessa, ma il gioco vale la candela”.
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