Bruxelles
17 novembre 2017 - 5 gennaio 2018
Inaugurazione: giovedì 16 novembre 2017, ore 19.00
All’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles una mostra multimediale
di pittura, musica e luce dedicata a Leonor Fini
Dal 17 novembre 2017 al 5 gennaio 2018 l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles ospita la mostra Leonor Fini. Memorie triestine, che sarà inaugurata giovedì 16 novembre dal direttore dell’IIC Paolo Grossi e dalla curatrice Marianna Accerboni con uno speciale contributo video inedito di Gillo Dorfles. L’esposizione si propone di portare nel cuore d’Europa l’artista Leonor Fini, argentina di nascita e triestina d’adozione, riunendo per la prima volta un’ottantina di opere, molte delle quali inedite, espressione del suo personale lessico surrealista e della sua personalità.
Bruxelles è la prima tappa di un ciclo
espositivo che vedrà la mostra toccare, nel 2018, Parigi, Laveno Mombello
(Varese) e infine Trieste, città dove la Fini crebbe e si formò, e da
dove – idealmente – la mostra prende avvio. L’inaugurazione a
Bruxelles sarà l’occasione per assistere a un’inedita
performance multimediale di luce e musica ispirata alle sue opere: la
facciata dell’antico e centralissimo palazzo che ospita l’Istituto
Italiano di Cultura sarà illuminata per la prima volta da un colore
azzurro-blu, a ricordare il mare di Trieste, che la Fini amava
molto. Il musicista italo-brasiliano Paolo Troni interpreterà dal vivo
alcune sue composizioni inedite ispirate alla Fini e realizzate
espressamente per la mostra. Tali brani continueranno a essere
diffusi all’interno della rassegna, divenendone la colonna sonora per
tutta la durata dell’esposizione. Anche nelle tappe successive
l’inaugurazione sarà caratterizzata da una performance multimediale di
luce e musica, realizzata site specific, in tema con la
mostra.
Attraverso una serie di testimonianze
artistico e culturali per la maggior parte inedite, l’esposizione
si propone di mostrare il risvolto più intimo e privato della
personalità di Leonor Fini, a 110 anni dalla nascita (Buenos
Aires 1907 - Parigi 1996), tornando innanzitutto alle radici della sua
formazione: Trieste, città fondamentale per lo sviluppo
del suo linguaggio artistico, dove fu portata nel 1908 dalla madre,
Malvina Braun, appartenente a una colta famiglia della
borghesia intellettuale in fuga da Buenos Aires, e dal
marito argentino di origini beneventane, dalla dubbia personalità.
Leonor crebbe nel particolare milieu d’ avanguardia
che all’epoca caratterizzava questa città – sospesa
tra pensiero mitteleuropeo e suggestioni italiane, avanzatissima e
cosmopolita – in contatto con la colta borghesia intellettuale. Arturo Nathan, Gillo
Dorfles, Leo Castelli, Umberto Saba, Italo
Svevo e Bobi Bazlen – il grande traghettatore in
Italia della letteratura dell’Est europeo in lingua originale) – sono
solo alcuni degli artisti, letterati e intellettuali, che lei frequentò
nei primi vent'anni della sua vita e che influirono molto sulla sua
formazione concettuale ed estetica, oltre che sulla sua forma
mentis internazionale.
Negli anni Trenta, l’artista si
trasferì a Parigi dove rimase fino alla morte.
Qui “l’italienne de Paris” – come Leonor veniva chiamata in Francia –
ebbe l’occasione di esporre assieme a celebri artisti, quali Salvador Dalì, Max
Ernst, Meret Oppenheim e altri importanti surrealisti, alla
mostra inaugurale della Galerie Drouin, che il gallerista
Leo Castelli (triestino di origine ungherese) aveva appena aperto nella
capitale francese con l’architetto Renè Drouin. A Parigi tenne anche
la sua prima personale: nel 1932, alla Galerie Jacques Bonjean,
allora diretta da un giovane Christian Dior, non
ancora couturier, che la consacrò nell’empireo dei grandi
artisti del ‘900. Sempre a Parigi conobbe e frequentò personaggi storici
quali il fotografo Henri Cartier- Bresson, lo scrittore e
poeta Jules Supervielle e Max Jacob,
pittore e critico amico di Picasso, Braque, Cocteau e
Modigliani. Pur essendo rimasta sempre molto legata a Trieste,
dopo la morte della madre, avvenuta molto tardi, non vi tornò più,
non sopportando l’assenza della figura materna nella città
che le aveva ospitate e accolte.
Nessun commento:
Posta un commento