A febbraio Palazzo Ducale ha presento la prima grande retrospettiva di
immagini a colori del celebre fotografo Elliott Erwitt, e lo scorso 23
giugno è arrivata anche l’attesissima mostra retrospettiva Vivian Maier. Una fotografa ritrovata che ricostruisce il lavoro fotografico della grande e sconosciuta autrice.
Due mostre fotografiche
accomunate dallo straordinario fascino dei loro autori, che Palazzo
Ducale dà la possibilità di visitare insieme prorogando la mostra di Erwitt fino al 3 settembre.
La mostra ELLIOT
ERWITT KOLOR è un evento unico e straordinario. Se i lavori in bianco e
nero del grande maestro sono stati esposti in numerose mostre di grande
successo all’estero e in Italia, la sua produzione a colori, invece, era
completamente inedita.
Solo
in tempi molto recenti Erwitt ha infatti deciso di affrontare, come un
vero e proprio viaggio durato lunghi mesi, il suo immenso archivio a
colori; una tecnica che aveva scelto di dedicare solo ai suoi lavori
editoriali, istituzionali e pubblicitari: dalla politica al sociale,
dall’architettura al cinema e alla moda. Immagini dunque sostanzialmente
diverse, immagini sulle quali ha posato uno sguardo critico e
contemporaneo a distanza di decenni, che ci fanno conoscere un mondo
parallelo altrettanto straordinario.
E’
nato così un percorso sorprendente per l’eleganza compositiva, l’uso del
colore, l’ironia, talvolta la comicità e gli altri poliedrici aspetti
che rendono Erwitt un autore amatissimo e inimitabile.
La mostra comprende circa
135 scatti, che Elliott Erwitt ha selezionato personalmente, traendoli
dai suoi due grandi progetti a colori, Kolor e The Art of André S.
Solidor.
Kolor è il titolo del
grande volume retrospettivo per realizzare il quale Erwitt ha rivisitato
tutto il suo archivio, con un impegno imponente che attraversa tutta la
sua produzione a colori. The Art of André S. Solidor è invece
l’esilarante e sottile parodia del mondo dell’arte contemporanea con i
suoi controsensi e con le sue assurdità.
Mentre il primo progetto
vive di scoperte dei vecchi negativi Kodak, in cui si ritrova il tipico
linguaggio di Erwitt, dai ritratti di personaggi famosi alle immagini
più ironiche e talvolta irriverenti, nella sezione di André S. Solidor,
invece, egli crea un vero e proprio alter ego del maestro, con tanto di
autoritratti, che si esprime in una produzione che non lascia più niente
al caso o all’intuizione, come emerge anche in un breve ed esilarante
filmato.
André
S. Solidor ama il digitale e il photoshop, la nudità gratuita e
l’eccentricità fine a se stessa, ma somiglia ad Elliott Erwitt più di
quanto appaia: ironia, metafora e puro divertimento surreale sottendono
una seria riflessione sui meccanismi e le assurdità dell’arte
contemporanea e del suo mercato.
Membro dal 1953 della
storica agenzia Magnum, fondata tra gli altri da Henri Cartier-Bresson e
Robert Capa, Erwitt ha raccontato con piglio giornalistico
gli ultimi sessant’anni
di storia e di civiltà contemporanea, cogliendo gli aspetti più
drammatici ma anche quelli più divertenti della vita che è passata di
fronte al suo obiettivo. "Nei momenti più tristi e invernali della
vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la
visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose,
il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in
cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle
nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal
nulla". Non a caso è considerato il fotografo della commedia umana.
Marilyn Monroe, Fidel
Castro, Che Guevara, Sophia Loren, Arnold Schwarzenegger, sono solo
alcune delle numerose celebrità colte dal suo obiettivo ed esposte in
mostra. Su tutte Erwitt posa uno sguardo tagliente e al tempo stesso
pieno di empatia, dal quale emerge non soltanto l'ironia del vivere
quotidiano, ma anche la sua complessità.
Con lo stesso atteggiamento
d’altra parte Erwitt riserva la sua attenzione a qualsiasi altro
soggetto, portando all'estremo la qualità democratica che è tipica del
suo mezzo. Il suo immaginario è infatti popolato in prevalenza da
persone comuni, uomini e donne, colte nel mezzo della normalità delle
loro vite.
Nato a Parigi nel 1928 da
una famiglia russa di origini ebraiche, Elliott Erwitt trascorse
l'infanzia in Italia e si trasferì definitivamente negli Stati Uniti nel
1939, prima a New York e poi a Los Angeles. Ebbe a dire, a proposito
delle leggi razziali: “Grazie a Benito Mussolini sono Americano”.
Il
percorso espositivo si conclude con una sezione multimediale che
comprende la proiezione di due filmati che documentano la sua lunga
carriera di autore e regista televisivo e una video collezione di alcune
delle sue più significative fotografie in bianco e nero.
La
visita è corredata da una audioguida inclusa nel biglietto, che fornisce
al visitatore il racconto di quanto accade nelle immagini di Erwitt. Un
testo prezioso, frutto di una documentazione ricostruita dalla
curatrice con l’autore, e mai pubblicato in precedenza.
La mostra è curata da Biba
Giacchetti, con il progetto grafico e di allestimento di Fabrizio
Confalonieri. Promossa dal Comune di Genova e dalla Fondazione di
Palazzo Ducale, la rassegna è prodotta da Civita Mostre con la
collaborazione di SudEst57.
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