28 giugno - 13 ottobre 2019
A cura di Guido Cecere e Alessandro Quinzi
Finissage domenica 13 ottobre
Musei provinciali di Gorizia
Palazzo Attems Petzenstein | Piazza E. De Amicis, 2 Gorizia
Palazzo Attems Petzenstein | Piazza E. De Amicis, 2 Gorizia
Dal
19 settembre al 10 ottobre ogni giovedì dalle ore 18.00 sarà possibile
visitare la mostra Sergio Scabar Oscura Camera (1969-2018) in corso a
Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia fino al 13 ottobre, accompagnati
da alcune guide d'eccezione, da amici e collaboratori del fotografo
recentemente scomparso.
Si consiglia la prenotazione, per un numero massimo di partecipanti di 20 persone a visita, ai seguenti contatti:
e-mail: didatticamusei.erpac@regionefvg.it
T. +39 348 1304726
T. +39 348 1304726
Calendario visite guidate
19 settembre con Roberto Kusterle
26 settembre con Marco Faganel, Sara Occhipinti e il curatore Alessandro Quinzi
3 ottobre con Ivan Crico
19 settembre con Roberto Kusterle
26 settembre con Marco Faganel, Sara Occhipinti e il curatore Alessandro Quinzi
3 ottobre con Ivan Crico
10 ottobre con Stefano Perulli
Il
13 ottobre sono previste due visite guidate gratuite, la prima alle ore
11.00 e la seconda alle 17.00. Alle 18.00 è previsto un brindisi di
fine mostra.
Dal 28 giugno al 13 ottobre 2019 i Musei provinciali di Gorizia presentano a Palazzo Attems Petzenstein la mostra Oscura camera (1969-2018) di Sergio Scabar recentemente scomparso (Ronchi dei Legionari, 1946-2019), organizzata da Erpac (Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia) e a cura di Guido Cecere e Alessandro Quinzi.
La mostra è la
prima antologica in Italia dedicata a Sergio Scabar, artista che ha
fatto dello scatto un vero strumento di riflessione e di indagine.
Autodidatta, Scabar è divenuto noto per l’originalità de Il teatro
delle cose del 1999, lavoro che ha segnato la sua svolta stilistica
votata a una ricerca poetica incentrata sull’essenzialità degli oggetti e
delle loro forme. Il percorso espositivo è composto da quasi
300 fotografie e si sviluppa seguendo l’andamento cronologico del lavoro
di Scabar, distinguibile in due fasi: una prima en plein air,
del genere del Reportage, e una successiva più sperimentale e
riflessiva, che dagli anni Novanta in poi ha definito la sua cifra
artistica. Nel Reportage, è la particolare sensibilità del suo sguardo a
creare sistemi seriali di immagini dove l’inquadratura rimane fissa e
sono gli oggetti e le persone a scorrere davanti all’obiettivo. Ne sono
un importante esempio le 50 fotografie, contrassegnate da una forte
impronta testimoniale, di Interno di un interno di un ospedale
psichiatrico, che Scabar ha scattato nel 1976 all’interno dell’ospedale
psichiatrico di Gorizia e alle quali è dedicata un’intera sala in
mostra.
La
serie dedicata agli “oggetti quotidiani” del 1986 può invece
considerarsi un’anticipazione del cambio di modalità operativa di
Scabar: se fino a quel momento infatti l’artista si muove con riprese in
esterno, prediligendo ampi spazi e la luce naturale – come nella serie
dedicata a Trieste e ai manifesti pubblicitari – successivamente sono i
dettagli “macro” ad attirare la sua attenzione. La sua produzione
artistica si fa sempre più concettuale, arrivando a concentrarsi sul
valore del “taglio” nella fotografia, inteso sia come inquadratura nel
momento della ripresa sia come ritaglio materiale, a posteriori, della
stampa fotografica. Scabar si concentra soprattutto sull’aspetto
materico dei soggetti, indagati sia in bianco nero che a colori, con una
serie di Still Life su cui agisce quella che lui chiama filosofia del
“silenzio di luce” per significare la condizione di tenue illuminazione
delle sue opere.
Dalla fine degli anni Novanta, la Natura Morta diventa l’asse portante della sua produzione.
Proprio con Il teatro delle cose Scabar mette a punto, dopo anni di
sperimentazioni, una particolare tecnica di ripresa e stampa “alchemica”
che gli consente di ottenere, sempre in esemplari unici, dei risultati
molto particolari in termini di tonalità opache scure, nell’area
cromatica fra il testa di moro e il nero, che sono diventati il suo
inconfondibile segno distintivo. Questa tematica si avvale di una
ricerca di formati al di fuori degli standard, come dimostrano le
cornici stesse delle fotografie, manufatti artigianali realizzati sempre
dallo stesso Scabar a compendio, supporto, propaggine dell’immagine
raffigurata. Gli oggetti che l’artista dispone con meticolosità
di fronte alla fotocamera possono essere singoli, in coppia, oppure
composti in gruppo. Appartengono all’utensileria da cucina, al mondo
delle arti e mestieri, agli strumenti del fotografo d’altri tempi, alla
grande famiglia della stampa e dei libri antichi e una serie alquanto
recente, del 2017, è dedicata tutta a vegetali e ortaggi. Le bottiglie e
gli oggetti in vetro, per la loro particolare reattività alla luce,
anche se fioca, sono fra i suoi soggetti preferiti, ma in generale sono
le forme e i contorni a imporsi per semplice e lineare eleganza. Il
variegato campionario di invenzioni ideate dal fotografo invita a una
riflessione sulla caducità delle cose. L’uso analitico della macchina,
che combina immagini del tutto moderne e legate alla quotidianità a un
sentire quasi sacrale, crea un equilibrio che attribuisce forza e
continuità alla sua opera.
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