All’indomani della pubblicazione delle linee guida da parte del Ministero della Salute per il controllo del rischio STEC nel latte crudo e nelle produzioni casearie, Slow Food Italia esprime preoccupazione per il futuro di molte aziende casearie italiane che producono formaggi a latte crudo. Le soluzioni individuate e consigliate dal Ministero prevedono controlli gravosi che vanno al di là delle possibilità economiche di molti produttori e sono spesso inattuabili per chi produce, in particolare, in alpeggio.
Slow Food Italia ha messo a punto un documento che prende posizione sul tema, consapevole della ricchezza incommensurabile che le produzioni a latte crudo rappresentano in termini di biodiversità, ecosistemi, razze animali, conoscenze e tradizioni, oltre che la loro importanza nella gestione ambientale delle aree interne già a rischio spopolamento. Il documento invita i decisori politici a valutare con attenzione e sensibilità le ragioni dei produttori artigianali a latte crudo che si sono sentiti chiamati in causa complessivamente, laddove le responsabilità sono da ricondurre a singole responsabilità. Questo documento chiede che sia difesa la dignità e il futuro dei formaggi a latte crudo e di tante economie montane, legate indissolubilmente alla conservazione dei territori, garantita dagli allevatori e dai produttori caseari.
Siamo coscienti che l’Escherichia coli STEC può generare - in casi rarissimi - problemi gravi ad alcune categorie di consumatori fragili, ma questo batterio si trova anche nelle carni crude, nei salumi, negli ortaggi, nelle farine, perfino nell’acqua che beviamo, eppure l’iniziativa del Ministero si concentra solo sui formaggi a latte crudo.
Gli stessi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità al Centro Europeo di Controllo delle Malattie (ECDC) mostrano come il numero dei casi di infezione da STEC riportato in Italia sia molto inferiore rispetto a quello di numerosi altri Paesi europei. Nel 2023 i casi di contaminazione da STEC accertati in Italia sono stati 96, pari a un’incidenza sulla popolazione dello 0,0001%, nessun decesso fortunatamente in quell’anno in Italia. In Europa i casi sono stati 10.217, in 31 casi fatali.
La Listeria - che si ritrova anche nei formaggi a latte pastorizzato e la cui letalità è di gran lunga maggiore, superiore al 20%, nello stesso anno ha visto 231 casi in Italia e 2952 in Europa (fatali per 335 persone).
Secondo Slow Food, riguardo al tema degli STEC, anziché costruire un’impalcatura di controlli complessi e costosissimi, in un paese che già prevede controlli sanitari attentissimi e veterinari solerti, sarebbe opportuno prevedere un piano di formazione per produttori e allevatori e una corretta e attenta comunicazione per i consumatori, che preveda anche l’indicazione delle dovute precauzioni per le categorie fragili.
Forse non è troppo tardi per ristabilire un’informazione equilibrata che non generi allarmismi inutili e dannosi, che tenga in considerazione il valore delle produzioni a latte crudo, non solo dal punto di vista organolettico, ma anche sotto il profilo nutrizionale, aspetto a cui in questi mesi non si è mai fatto cenno.
Anche volendo lasciare da parte il danno qualitativo e culturale causato dalla perdita di formaggi tradizionali a latte crudo, la pastorizzazione implicherebbe la diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti (un formaggio a latte pastorizzato può subire un calo del prezzo anche del 30%), i costi dell’energia necessaria per far funzionare i pastorizzatori triplicherebbero, servirebbe il doppio di acqua per raffreddare il latte, e di acqua ce n’è sempre meno. I produttori stanno traendo le ovvie deduzioni e moltissimi lasciano, o lasceranno a breve, questo mestiere.
Il danno di immagine è già stato fatto ed è tutto da recuperare.
Slow Food ha cominciato a lavorare sul latte crudo quasi 30 anni fa, nel 1997, con la prima edizione di Cheese, a Bra (Cn), la manifestazione internazionale sui formaggi a latte crudo che riunisce nella piccola cittadina piemontese oltre 250.000 visitatori da tutto il mondo. Allora nei ristoranti non esistevano i carrelli dei formaggi. Quando si scriveva di formaggi di eccellenza, si citava la Francia. Sulle etichette non era obbligatorio - come lo è oggi - scrivere “a latte crudo”, mentre in Francia, per l’appunto, le eccellenze casearie esponevano con orgoglio l’indicazione “fermier” e “lait cru”. Poi tutto è cambiato. Poco per volta abbiamo raccontato e valorizzato una biodiversità straordinaria di tecniche, di saperi caseari, ma anche di pascoli, le cui erbe cambiano se si passa dalle Alpi agli Appennini, alla Sila, ai Nebrodi, oppure in collina o nelle pianure dove sopravvivono, anche se sono sempre più rari, prati stabili e marcite. Una biodiversità che è alla base delle diversità casearie che rendono l’Italia, insieme alla Francia, uno dei paesi più ricchi di formaggi tradizionali: tra questi oltre 600 documentati dai Pat, 80 Presìdi Slow Food, ben 56 Dop/Igp (di cui la metà prevede l’obbligo di produrre a latte crudo).
Ora siamo alla 15esima edizione di Cheese - che si svolgerà a Bra dal 19 al 22 settembre - e Slow Food è di nuovo in prima linea per difendere i formaggi artigianali a latte crudo, insieme a tutta la sua rete e a tante altre associazioni e organizzazioni.
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