Grandi Storie di Piccoli Borghi

sabato 30 gennaio 2016

Bikel by Saiel interviene in Europa sui temi della mobilità elettrica

Bikel, by Saiel  interviene in Europa sui temi della mobilità elettrica


Il tema delle ciclovie e del recupero delle ferrovie dismesse è sempre stato al centro delle iniziative di informazione della rete dei borghi europei del gusto.
L'Azione I Binari del Gusto mette insieme un circuito di borghi lungo le ferrovie dimenticate.
Da oltre cinque anni la rete partecipa alla Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate, promossa
da promossa da Co.Mo.Do., una confederazione di Associazioni che si occupano di mobilità alternativa, tempo libero e attività outdoor. Un tavolo allargato di discussione e proposta sui temi della mobilità dolce, dell’uso del tempo libero, del turismo e dell’attività all’aria aperta con mezzi e forme ecocompatibili.
Nel suo percorso la rete ha incontrato l'azienda Bikel ,che nasce dalle esperienze imprenditoriali dei fratelli Baggio, in quel di Gaiarine (Treviso),con la Saiel srl (che da sempre si occupa di impianti elettrici, mobilità elettrica,ecc.).
La passione per la bicicletta e la cultura professionale hanno portato alla nascita di Bikel.
“Ormai le e-bike, cioè le biciclette a pedalata assistita da un motore elettrico, hanno fatto tantissima strada nella tecnologia e nel design, anche grazie a una richiesta del mercato che aumenta ogni giorno. Il costo del carburante e dei parcheggi, la mancanza di costi fissi (niente bollo, assicurazione o casco), il desiderio di un modo di muoversi più sano e rispettoso dell’ambiente, hanno determinato il successo delle biciclette elettriche anche in Italia, sull’esempio dei paesi del Nord Europa.Per chi vuole andare al lavoro senza problemi in abiti da ufficio, per chi desidera pedalare e tenersi in forma senza faticare troppo, per chi cerca un contatto con la natura nel tempo libero ma non ha l’allenamento fisico per affrontare salite e sterrati, oppure che di vuole semplicemente andare a fare la spesa o accompagnare il bambino all’asilo o a scuola, in tutta tranquillità e sicurezza: c’è una e-bike per ogni esigenza e Bikel vi propone tutte le migliori marche e i modelli più recenti.”
Chi possiede già una bicicletta di qualità, con un apposito kit è possibile modificarla e utilizzarla come una bici elettrica, risparmiando sul costo iniziale di acquisto. Bikel utilizza i componenti delle migliori marche, in particolare motori Bfang / 8FUN e batterie Samsung / Panasonic, con i relativi ricambi, per garantire la massima qualità, le migliori prestazioni ed un’autonomia ai massimi livelli.
Inoltre Bikel offre una Garanzia 24 mesi su tutte le componenti elettriche e meccaniche e di 12 mesi sulle batterie. La garanzia ha validità dalla data comprovata da un documento fiscale valido (ricevuta fiscale o fattura d’acquisto) per il periodo previsto dalla legge vigente (Decr. Leg. 2/02/02 n. 24 attuativo della Direttiva 1099/44/CE) ovvero pari a 24 mesi, in caso di acquisto con ricevuta fiscale, o 12 mesi in caso di acquisto con fattura fiscale.
Per tutti questi buoni motivi la rete dei Borghi Europei del Gusto ha inserito le tematiche della mobilità elettrica tra i temi delle iniziative del IX Festival Europeo sulle Ferrovie Dimenticate ( 6 marzo-30 aprile),chiedendo a Bikel, by Saiel di partecipare attivamente,incontrando il mondo dell'informazione a Milano, Gaiarine (con uno stage organizzato in Azienda) e realizzando un materiale didattico sulle energie rinnovabili.

Kit Kit

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Luganega nostrana padovana

SINONIMI E TERMINI DIALETTALI Salsiccia
ZONA DI PRODUZIONE Padova e provincia
PERIODO DI PRODUZIONE Tutto l'anno
MATERIE PRIME Pancetta e polpa magra di maiale macinato, sale, pepe e vino (o aglio)
CARATTERISTICHE Si tratta di salsicce di piccole dimensioni. Sono insaporite con sale, pepe e vino. Hanno profumo e sapore piacevolmente gustosi.
DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Una volta preparato un impasto con pancette di maiale private della cotenna, viene insaporito sale, pepe e vino. Successivamente l’impasto viene insaccato all’interno del budello di maiale e legato a mano con lo spago. Infine le salsicce vengono poste ad asciugare appeso alle travi o su apposite “stanghe”.

Salsicce

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La Salsiccia o Luganega Trevisana

da marcadoc


luganega
La luganega trevisana si distingue da tutte le altre luganeghe che vengono prodotte un po’ in tutto il Veneto per le proporzioni. Le carni del guanciale e del collo di suini (provenienti esclusivamente da allevamenti locali) vengono tritate, condite con sale e pepe e insaccate nel budello legato e diviso in quattro spicchi. Questa preparazione consente di usare le carni vicine alla ferita (scarnatura) sul collo del suino, impregnate di sangue, altrimenti inutilizzabili.
La luganega trevisana puo’ essere comunque confezionata anche con carni e grasso che non sono venuti a contatto con il sangue dell’animale e in questo caso il loro colore e’ piu’ chiaro.
Si trova in commercio in due versioni:
una ‘magra’ adatta da cucinare alla brace e una piu’ grassa che va utilizzata cotta in umido, bollita e in tegame .
In ogni caso si consuma ‘fresca’ e non ha bisogno quindi ne’ di maturazione ne’ di stagionatura.
La tradizione prevede che “luganega trevigiana bianca da riso” sia confezionata con la parte magra della pancetta fresca del maiale, macinata a grana fina e drogata; insaccata in un budello suino, strozzato con legatura ogni 8-10 cm in rocchi, detti in dialetto “moreli”, in una unica filza; drogate con sale, pepe, e la famosa “dosa” trevigiana nella proporzione, di massima, di 4 grammi per ogni chilo di macinato, senza aggiunta di conservanti; senza stagionatura.
Il nome “luganega” e’ la traduzione veneta di “lucanica” degli antichi Lucani, che ne facevano grande uso. La luganega si consuma fresca, normalmente cotta. A Treviso le luganeghe, note gia’ nel Medio Evo, venivano per tradizione confezionate in due versioni: quella “da riso” detta bianca e quella “da rosto” detta magra. Quelle “da riso” erano molto delicate e quelle “da rosto” preparate per il 60% con la pancetta senza cotenna e per il rimanente la carne magra del suino e la “dosa”. Era tradizione preparare, con la luganega da riso, la minestra di riso in brodo alla quale la salsiccia cedeva tutti i suoi umori e profumi; la versione medioevale e’ stata oggi abbandonata in quanto nella ristorazione e’ prevalso l’uso di preparare lo stesso piatto a risotto, pur nella versione semiliquida, cioe ‘all’onda”, con la luganega sminuzzata. Le due versioni di minestra vanno guarnite, sempre, con una salsiccia, lessata a parte, in ogni scodella.
Composizione:
carni di seconda scelta piu’ grasso corposo di guanciale di suini. sale e pepe.
Area di produzione:
provincia di Treviso, anche se un salume analogo si produce in tutto il Veneto.
Per saperne di piu’:
LUGANEGA DA RISO (salciccia da brodo)
Territorio interessato alla produzione Provincia di Treviso
La storia
La “luganega da brodo o da riso” è una salsiccia del tutto particolare essendo costituita, per la maggior parte, da lardo pregiato di suino che si caratterizza per il tipico gusto dato dagli aromi. È un prodotto specificatamente nato per condire minestre e risotti conferendo loro un sapore tipico e particolare. Il prodotto è ben descritto nel libro del Maffioli “La cucina trevigiana” , nel quale ne suppone una origine assai antica citando Giulio Tirelli “altro emerito cuoco”, il quale, nel “Discorso sopra gli animali quadrupedi tanto domestici quanto selvatici”, al capitolo “Porco domestico” dice fra l’altro: «…è questo animale molto utile per le cucine e gustoso per fare con le sue carni vivande e col suo grasso condirne. Io qui […] ma parlerò solo di una sorte di salsiccia, di cui nei mesi di luglio ed agosto me ne servo per condire minestre e zuppe, all’hora quando gli stomachi per il gran calore sono rilassati maggiormente. […] Quanto la minestra o zuppa sarà alla cottura vi si ponga dentro una di queste salsicce e quando sarà gonfia si trasformi con un coltello, e così ne uscirà un succo che condirà suavemente la minestra o suppa, e in un pasticcio fa il simile.».
Descrizione del prodotto
Sono salsicce di piccola dimensione (4-6 cm) e di peso ridotto (circa 50 g). Hanno colorito abbastanza chiaro che tuttavia varia in funzione della tipologia di spezie che contengono. Sapore e profumo sono intensi e gradevoli.
Processo di produzione
Per produrre queste salsicce vengono utilizzate le pancette di maiale, private della cotenna, macinate con stampo a fori di 5 mm. L’impasto viene quindi insaporito con sale marino al 2.5% e aromatizzato con la dosa allo 0.5%. Quest’ultima contiene aromi di vario tipo: cannella, chiodo di garofano, pepe, noce moscata, macis e coriandolo in diversa ed equilibrata proporzione. Dopo un accurato mescolamento, l’impasto viene insaccato, con l’ausilio di un apposito macchinario, in budellino di maiale e poi si procede manualmente alla legatura a nodi.
Reperibilità
Direttamente presso i produttori, o in alcune macellerie o ristoranti del trevigiano si possono trovare queste particolari salsicce durante i mesi invernali.
Usi
Il prodotto è un eccellente condimento e viene utilizzato, come del resto il nome fa presagire, per insaporire minestre zuppe o risotti.
LUGANEGA TREVIGIANA
Territorio interessato alla produzione Area Collinare della Pedemontana
La storia
La luganega è un prodotto tipicamente contadino, usualmente consumato nel periodo intercorrente tra l’uccisione del maiale e la maturazione dei salami. Per quanto riguarda la tradizione padovana i primi riscontri di questi prodotti si ritrovano fra le ricette Ruzzantiane risalenti al 1530 circa. Nella provincia trevigiana è tradizione utilizzare, per questi insaccati, le parti meno nobili del maiale, (i polmoni e il fegato) che vengono impastate con le carni migliori avanzate dopo la produzione di sopresse e salami. La tradizione di questo insaccato è antichissima, e ciò è dimostrato da un’ordinanza di un podestà di Treviso che già nel XVI secolo, ne definiva le caratteristiche per difendere il prodotto da imitazioni e contraffazioni. Le Pezòle o luganeghe de tripan sono un prodotto caratteristico della tradizione culinaria agordina confezionato dalle famiglie per riuscire ad utilizzare tutte le carni del maiale, anche quelle meno pregiate. “Tripan”, in dialetto Ladino Veneto significa cotenna e dunque il nome indica la presenza nell’impasto della cotenna del maiale. Le Salsicce con le rape sono una produzione inventata, con ogni probabilità, per “allungare” la preziosa carne del maiale con una materia prima meno pregiata come la rapa gialla (che un tempo, in inverno, era molto abbondante). Potevano essere impiegate quantità variabili della radice, anche superiori a quella della carne (oggi comunque si predilige un impasto inferiore al 50%), senza creare problemi di conservazione del prodotto. Anche nel rodigino si producono le salsicce, soprattutto nella zona del delta dove da decenni si produce la salsiccia tipica polesana.
Descrizione del prodotto
Le varie tipologie di salsicce prodotte in Veneto si differenziano tra loro per colore, forma e dimensione. Possono assumere infatti un colorito più chiaro se contengono parti maggiormente pregiate del maiale, mentre se le carni tritate sono quelle più sanguinolente il prodotto mostra un colorito più scuro. Le dimensioni variano da pochi centimetri (circa 4-5 cm per la luganega trevigiana), passando per una forma abbastanza standardizzata e usuale di circa 10 cm per 3 di diametro della maggior parte delle produzioni, fino ad arrivare alle pezòle che hanno forma cilindrica, una lunghezza di circa 25 cm e un diametro di 4-5 cm. Ovviamente differisce, a seconda del tipo, anche il gusto che varia in funzione delle carni e delle spezie utilizzate nell’impasto.
Processo di produzione
Le carni del maiale vengono macinate con coltelli a piastra con fori di diametri differenti a seconda delle usanze e vengono insaporite con sale, pepe e aromi vari. L’impastato è poi insaccato in budello di maiale accuratamente lavato e salato. La legatura avviene manualmente e il prodotto viene dunque posto in cella di asciugatura e stagionato appeso a rastrelliere in locali con temperatura, umidità e ventilazione controllate.
Reperibilità
Il prodotto è di reperibilità molto semplice, essendo disponibile presso la maggior parte delle macellerie della zona e nei menu’ di molti ristoranti di cucina locale. Più difficili da trovare, e prodotte soprattutto per l’autoconsumo familiare, sono le salsiccie confezionate con parti meno pregiate del maiale.
Usi
Le “luganeghe” vengono consumate cotte alla brace o bollite e solitamente si accompagnano con le verze o altre verdure bollite.
notizia collegata : La “dosa” per la luganega ritrovata dall’Accademia Italiana della Cucina
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La Luganega





Luganega
Luganega.jpg
Luganega
Origini
Luogo d'origine Italia Italia
Regioni Lombardia
Veneto
Trentino-Alto Adige
Zona di produzione Lombardia intero territorio, Veneto, Trentino
Dettagli
Categoria secondo piatto
Riconoscimento P.A.T.
 
La lugànega, anche detta luganiga o luganica, è il nome tradizionalmente attribuito ad un insaccato fresco di carne di suino, macinata insieme a grasso di suino, insaccata a filza, da consumarsi previa cottura diretta del prodotto oppure nella preparazione di altre pietanze, come ad esempio di risotti. Particolarmente ricca è la luganega di Monza, nel cui impasto si trovano anche formaggio grana, brodo di carne e vino; è l'ingrediente fondamentale per il risotto alla monzese.
È una preparazione tipica dell'Italia del nord i cui natali vengono contesi tra Veneto e Lombardia, anche se l'origine del nome viene solitamente collegata all'uso, comune in epoca romana, di indicare con lucanica un tipo di salsiccia originaria della Lucania (antica regione coincidente grosso modo con l'attuale Basilicata, parte della Campania meridionale (Cilento), e parte della Calabria settentrionale).
Una testimonianza di quest'uso linguistico la ritroviamo in Varrone che, nella sua opera De lingua Latina (V, 111), informa:
« ...una salsiccia fatta con l'intestino crasso del maiale è chiamata lucanica, perché i soldati l'hanno imparata a fare dai Lucani »
È però possibile che ad importare la luganega nell'Italia settentrionale siano stati non i soldati romani, ma gli stessi Longobardi i quali discesero la penisola italiana e occuparono anche la Lucania (nella cosiddetta Langobardia Minor), venendo a conoscenza di usi e costumi delle popolazioni locali che poi potrebbero avere portato con sé durante altre migrazioni all'interno del territorio da loro occupato.
Appare invece assai debole l'ipotesi alternativa di una derivazione della parola luganega dal nome di Lugana, località vicina al lago di Garda.

Il lungo viaggio della luganega

La “Luganega” è una salsiccia originaria della Lucania (antica regione che corrispondeva all'attuale Basilicata, parte della Campania meridionale e della Calabria settentrionale).
Qui di seguito il lungo viaggio storico di questa prelibatezza.
I Lucani,entrati in collisione con Taranto che volevano sottomettere, affrontarono Alessandro I d'Epiro, detto “il Molosso”, zio di Alessandro Magno, richiamato nel 323 a.C. in aiuto dei Tarantini. Alessandro, dopo aver cacciato i Lucani dalle città ioniche e restituito Heraclea ai Tarantini, conquistò l'Apulia; quindi giunse sotto le mura di Poseidonia (Paestum). Qui i Lucani ed i loro alleati Sanniti affrontarono la falange macedone e ne uscirono completamente sconfitti. Alessandro, vittorioso, catturò numerosi ostaggi fra le famiglie aristocratiche lucane deportandone molte in Epiro. Queste famiglie, deportate con gli agi ed il rispetto riconosciuto al loro rango, si integrarono perfettamente nel territorio ellenistico ove trasmisero anche la loro preziosa sapienza culinaria. La luganega divenne quindi in tutto il territorio ellenistico il “loukaniko” o “loukanika” che ancora oggi possiamo gustare sulle tavole delle taverne greche. Il loukaniko venne Inserito da Timachida di Rodi (in greco Τιμαχίδας I-II sec.a.C) nel suo ricettario e, riconosciuto come piatto greco a tutti gli effetti, fu trasmesso da tutti i cuochi formati nella sua Accademia in Rodi alle migliori famiglie aristocratiche greche.
Il Principe Arnaldo Zamperetti da Cornedo, (X-XI sec d.C), medico, storico, viaggiatore, mecenate, trovandosi a Rodi in missione diplomatica come ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia, tradusse “Diverse sorte di banchetti”, gli 11 volumi di Timachida , trovati in una ricca biblioteca dell'epoca e portò nel territorio veneto anche l'arte del famoso Loukaniko o Loukanika che, ritornata finalmente sulla nostra penisola dopo 15 secoli, divenne e rimase la Luganega.

Luganega P.A.T. in Lombardia

La lunghezza va da un minimo di 20 cm fino anche a 18 m, sempre in budello naturale, ripiegata su sé stessa a formare un grappolo. Il diametro è di 4–5 cm.
Nell'impasto macinato con granulometria medio-piccola si aggiungono sale e spezie. Nella variante bergamasca anche vino passato nell'aglio. La legatura viene effettuata a mano, con una catena di salsicce legate solo in testa ed in coda.

Luganeghe riconosciute

Le luganiche dal Ministero riconosciute come P.A.T. sono le seguenti:

Lombardia

  • Luganega
  • Luganega di cavallo
  • Lughenia di passola

Provincia di Trento

  • Lucanica di capra o pecora
  • Lucanica mochena di cavallo
  • Lucanica mochena piccante
  • Lucanica mochena stagionata
  • Luganega cauriota affumicata o lucanica cauriota affumicata
  • Luganega secca della valle di Cembra
Nella sua versione classica trentina l'impasto della luganega è composto solo di suino e spezie e viene insaccato in budello di cavallo. Le spezie vengo comunemente denominate dosi e ogni produttore ha la sua ricetta. La dose per ogni kg di carne e lardo macinati a grana media è solitamente così composta: dai 25 ai 27 grammi di sale; da 3 a 2 grammi di pepe nero; circa altrettanto aglio in polvere. In Trentino in molte botteghe di paese (come per esempio le famiglie cooperative) si possono acquistare le dosi per la preparazione della luganega in quanto è tradizione che i contadini (e non solo) se la producano in casa; alcuni anche allevando i maiali in proprio.

Veneto

  • Luganega da riso
  • Luganega nostrana padovana
  • Luganega trevigiana
  • Luganeghe de tripan
  • Luganeghe della Val Leogra
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Il Villaggio di Marussici

 
Marussici Le origini del villaggio di Marussici risalgono probabilmente al XVI secolo, quando la zona fu interessata dalle immigrazioni slave. Adiacente la Casa di cultura e' situato il Parco forma Viva sorto nel 1980 grazie alla Scuola internazionale estiva di scultura «Cornaria» che opero' per sette anni presso l'omonima cava abbandonata.

L'iniziativa avviata dalle gallerie Costiere di Pirano si concretizzo' con l'arrivo di scultori affermati e di studenti della St. Martin's School of art di Londra e da altre parti del mondo. Una quarantina di sculture hanno trovato collocazione nella natura del paesaggio carsico.
        
Dal Parco si diparte una stradina in salita verso il villaggio di Sorbar dove si incontrano due pittoresche chiesette medievali. La piccola chiesa cimiteriale di S. Lucia presenta all'esterno della facciata un campanile a vela e un portichetto sorretto da due pilastri a sezione ottagonale.
Di notevole importanza storica e artistica e' la trecentesca chiesetta di S. Pietro in Sorbar nella qui apside si trovano degli interessanti affreschi disposti in fasce compositive. Nella parte superiore viene raffigurato il Cristo ninbato con la destra benedicente e un libro aperto sulle ginocchia.Lo attorniano i quattro evangelisti rappresentati dai loro simboli iconografici. Nella fascia inferiore si allineano le figure a mezzo busto di dieci apostoli. In diverse sue parti l'affresco presenta graffiti con iscrizioni che ricordano le persone di riguardo che venivano a visitare la chiesetta e ci sono anche graffiti in glagolitico di cui il piu' antico risale al 1496.
 
L'aspetto originale della chiesa e' stato alterato da interventi posteriori.   Nell'abitato di Marussici si svolge un ricco programma artistico – culturale e sportivo il che si deve soprattutto alla sessantenale attivita' della Societa' sportiva e culturale «Bratstvo» di Marussici. All'interno di questa societa' fondata nel 1947, operano la sezione sportiva e quella musicale. La sezione musicale consiste dal Gruppo vocale maschile «Kornarija» e quello femminile «Rožice». La societa' organizza un ricco programma artistico culturale tra cui vanno ricordati gli «Incontri delle klape dell'Istria e del Quarnero», la manifestazione «Pišcanci i gunjci» a Marussici. Organizzano la tradizionale «Luganigada» dove vengono premiate le «luganighe», ovvero le tradizionalisalsicce casarecce e altre manifestazioni di tipo locale. Nella sezione sportiva operano il Club calcistico e bocciofilo. Marussici vanta anche una ricca infrastruttura sportiva e culturale: la casa sociale, il palco esterno, la zona sportiva con il campo di calcio e quello bocciofilo.
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Oleum olivarum a Crasizza


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  • 12mar
  • ~
  • 13mar
2016

Crasizza


Ente per il Turismo di Buie
Email: info@tzg-buje.hr
Telefono: +385 52 773 353

Dal 12 all’13 marzo il pittoresco paesino di Crasizza, nei pressi di Buie, accoglierà la diciannovesima edizione di “Oleum olivarum”, una delle più antiche fiere in Croazia dedicate all’olio d’oliva. A questa manifestazione, che con il passare degli anni ha acquisito un carattere sempre più internazionale, prendono parte istituti scientifici e di ricerca, associazioni di coltivatori di olive e produttori di olio d'oliva provenienti dalla Croazia, dall'Italia e dalla Slovenia.

“Oleum olivarum” consente di valutare la qualità degli oli in base ai più elevati standard della regione. Proprio per questo motivo un numero sempre maggiore di produttori decide di parteciparvi per veder riconosciuto il valore dei propri prodotti e avere così la possibilità di collocarli in modo più semplice e proficuo su determinati mercati.

Nell'arco dei due giorni della manifestazione, i partecipanti e i visitatori potranno approfittare di numerosi stand con degustazioni a base di eccellenti oli d'oliva abbinati alle specialità gastronomiche istriane, nonché ai vini e al miele di produzione locale. Sono inoltre previsti seminari specializzati e l’assegnazione delle medaglie ai migliori produttori di olio d’oliva. Infine, nell’ambito del concorso artistico verranno premiati gli autori delle più interessanti opere d’arte incentrate sul tema delle olive.



Crasizza non mancherà di stupirvi con la propria bellezza e il meraviglioso panorama che, attraverso i fertili pendii coltivati e le terrazze coperte di ulivi e vigneti, accompagnerà il vostro sguardo fino al fiume Quieto e oltre, fino al mare.

Vi invitiamo quindi a visitare quest’angolo dell’Istria per scoprirne le radici e bellezze naturali e assaporare un ambiente magico in cui il tempo sembra essersi fermato e la natura incontaminata convive in perfetta armonia con l'ospitalità degli umili e operosi abitanti, da sempre impegnati a preservare i valori e le tradizioni del passato.
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Dolci Tradizioni di Carnevale


 
“Semel in anno licet insanire”! (Una volta all’anno è lecito festeggiare). E’ un saggio consiglio che ci è stato tramandato dai nostri progenitori latini.
Quale migliore occasione, se non il Carnevale, per dare ascolto a chi di feste se ne intendeva veramente? Pensiamo all’antica Roma, quando, cioè, si festeggiava per giorni e giorni fino allo sfinimento.
Il Carnevale è senz’altro la festa più allegra dell’anno.
La più attesa dai bambini, la più trasgressiva per i più grandi
.Varie sono le tradizioni popolari di questo periodo dell’anno in gran parte dei Paesi del Mondo e in ciascuno di essi si rifanno a miti, a leggende, o a rituali pagani e religiosi.
Anche nel nostro Paese le manifestazioni “carnevalesche” imperversano colorando e risvegliando le vie di ogni città.
Inutile dire che anche a livello gastronomico si hanno in Italia innumerevoli tradizioni, che rispecchiano pienamente lo spirito di tale festa.
Ogni regione vanta ricette gastronomiche particolari e secolari, ma soprattutto nel “DOLCE” si nota una singolare voglia di evasione e di trasgressione; non a caso le ricette caratteristiche, seppur con varianti minime, vedono al primo posto i dolci fritti.
Un detto popolare recita che fritto è buono tutto, anche l’aria, ma è certamente lo zucchero caramellato e dorato dall’olio ad alta temperatura a trasformare anche il più semplice impasto in qualcosa di irresistibilmente stuzzicante e profumato.
Voglio proporvi, ora, alcune ricette di dolci di Carnevale rigorosamente fritti.
Dunque, mano alle padelle … e buon Carnevale a tutti.
CICERCHIATA E’ una specialità tipica del Centro- Italia (Abruzzo, Umbria, Marche, Lazio); tra l’altro, la presenza del miele indica che si tratta di una preparazione molto antica.
STRUFFOLI La risposta del Sud alla Cicerchiata è costituita dagli Struffoli Napoletani; all’apparenza il dolce sembra identico, ma le due ricette presentano numerose differenze. Inoltre, il dolce napoletano viene guarnito con “cannulilli” e “diavulilli” colorati, quasi a voler significare l’innata allegria e il folclore tipici di questo popolo, ai quali, in origine, erano att ribuite proprietà energetiche.
CHIACCHIERE Questa è forse la ricetta più semplice e la più “allegra” fra quelle dei dolci di Carnevale, ciò nonostante è quella di maggiore successo. Tanto è vero che la si ritrova in tutt’Italia, sebbene con nomi diversi: in Friuli si chiamano Grostoli, in Emilia Sfrappole, in Veneto Galani, nelle Marche Frappe, Cenci in Toscana, Chiacchiere in Campania. La variante, nelle varie ricette regionali, è costituita dal marsala, o dal vino bianco, o dall’acquavite, o dal liquore all’anice.
CASTAGNOLE Sono tipiche della gastronomia friulana durante il periodo di Carnevale. Gustose e morbide, sono adatte anche ai bambini.
TORTELLI O RAVIOLI DOLCI Sono cuscinetti di pasta ripieni di marmellata, di frutta secca, o, come nella ricetta che segue, di ricotta.
CAUSONE NAPOLETANO Di fattura simile ai tortelli, arriva dalla Campania il “Cauzone”, che però presenta una variante alla ricetta davvero singolare e forse un po’ PICCANTE: il pecorino.
GRAFFE KRAPFEN Questa ricetta, forse la più antica, di tali dolci austriaci, proviene dal libro di gastronomia dell’ARTUSI, di cui ho una copia del fine ‘800. Si sa che l’Artusi fa del cucinare e del mangiare una vera e propria arte, dispensando consigli raffinati e, allo stesso tempo, pratici. Dei Krapfen ci dà una ricetta “gentile”, come egli stesso la definisce, che qui di seguito vi riporto in immagine scansionata del libro sopra citato.
ZEPPOLE E’ un dolce che si ritrova nominato in antichi test, non solo di cucina, perfino in un “Privilegio”del Viceré di Napoli, Conte di Ripacorsa (siamo nella Napoli dell’800). Si narra che il giorno di San Giuseppe, che si festeggia il 19 Marzo, i friggitori napoletani si esibivano pubblicamente nell’arte del friggere le Zeppole davanti alla propria bottega, disponendovi tutto l’armamentario necessario. Si hanno varie ricette delle Zeppole. Ve ne propongo due diverse versioni: la prima senza ripieno e la seconda con ripieno di crema pasticciera.
ZEPPOLE SEMPLICI ZEPPOLE BIGNÈ Per concludere l’allegro carosello sui dolci tipici del Carnevale, vorrei, dulcis in fundo, terminare con una ricetta veramente originale e, appresso, con un aneddoto che ci provengono dalla città di Napoli.
LE ZEPPOLE DI IPPOLITO CAVALCANTI ( tratto da: Il grande libro della pasticceria Napoletana) Le “Zeppole” Di Ippolito Cavalcanti Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, e no bicchieredevino janco, e quanno vide ch’accommenz’a fa lle campanelle, e sta p’ascì a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo laniaturo; e quanno1a pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che 1a può manià, la mine co lle mmane per farla schianà si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntuto le pugnarraje pe farle squiglià, e farle veni vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiù tennere farraje la pasta na jurnata primma.
LE ZEPPOLE DEL DUCA Si era alla vigilia di S. Giuseppe del 1967, l’anno in cui era preside dell’Istituto Professionale Alberghiero di Stato di Napoli il prof. Francesco Bruniroccia, Franz per gli amici, uomo dotato di affascinante personalità. Colto, con evidente attitudine alle pubbliche relazioni, scrupoloso osservante delle regole di galateo dettate da Monsignor Della Casa, egli riversava nel suo ruolo di uomo di scuola l'impronta di tutte quelle doti naturali che facevano di lui un diploma-tico mancato. A far da specchio a queste note caratteriali c'era il temperamento brillante e sempre disponibile del prof. Bruniroccia, il quale, detto fra noi, si compiaceva a cogliere tutte le occasioni possibili per far sfoggio della sua cultura e della sua sensibilità di gentiluomo in un mondo ancora non preso d’assalto dai mass media. Appena insediato nella presidenza di quel nuovo tipo di scuola che lo vestiva a pennello per la sua particolare organizzazione e finalità, egli senti il dovere di approfondire la sua conoscenza con quell'Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino al quale la scuola era stata intitolata. Molte cose conobbe di quell’illustre gastronomo buontempone, nato nel 1787 e morto a Napoli nel l860.
Credette anche di scoprire delle affinità tra il Cavalcanti e quell'abile Ministro degli Esteri - considerato il più abile tra i ministri del suo tempo (tra la fine del 700 e i primi dell'800) - che fu Carlo Maurizio Talleyrand, diplomatico pieno di spirito d'iniziativa e di risorse, il quale si avvalse della gastronomia nei molti contatti importanti e difficili della sua vita di politico. La scoperta più sensazionale che fece il preside Bruniroccia fu che, in fondo in fondo, anch'egli somigliava un po’ all’uno e un po’ all’altro dei due grandi personaggi e gastronomi in questione. Fu così che s’innamorò di Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino e decise di onorarlo, facendolo conoscere bene anche agli allievi dell'istituto a cui non poteva essere toccato - e tutti se ne dovevano convincere -nome più felice.
Pertanto la scuola fu pervasa da un fervore di interessi sulla vita del personaggio e sulla pratica dei suoi consigli a tavola e delle sue ricette, anche di quelle non del tutto ortodosse. Fu appunto quest’ultimo particolare - ahinoi un po’ troppo azzardato - che fece correre all’appassionata crociata del Bruniroccia un brutto rischio.
Raccontiamo un episodio che pochi ancora, tra gli allievi e gli insegnanti di allora, ricordano. Si era, dunque, alla vigilia di San Giuseppe, in uno di quegli anni in cui al santo venivano ancora riconosciuti gli onori di una festività scolastica. Per iniziativa del preside era stata organizzata dall’istituto Alberghiero di Napoli e da quello di Capri, sede coordinata, una manifestazione da tenersi nella Piazzetta di Capri in quella giornata.
Baldacchino al centro della piazzetta, attrezzata con un banco-bar, un banco per impasto, un grosso fornello ed un padellone: questa la scenografia che, sotto l'insegna I.P.A.S., doveva consentire agli allievi barman ed a quelli del corso di cucina di offrire ai turisti ed ai cittadini di Capri, in quella tiepida giornata primaverile e in una pubblica esercitazione, cocktails e zeppole di S. Giuseppe.
Queste ultime preparate ovviamente nella più fedele osservanza della ricetta di Ippolito Cavalcanti.
Tutto era stato dovutamente propagandato e inviti ufficiali erano giunti sui tavoli di sindaci e assessori nonché sulle scrivanie dei direttori degli alberghi capresi, con preghiera di divulgare la notizia della manifestazione ai loro clienti. Così che, quando gli allievi furono già al loro posto di... combattimento (è proprio il caso di dirlo), la Piazzetta di Capri era già gremita di una variegata folla divertita e incuriosita dall’originale atto di promozione turistica.
Ci furono gustosi e ben guarniti cocktails per tutti e poi... zeppole ancora fumanti distribuite da altri allievi di sala e bar in perfetta divisa di commis. La distribuzione aveva soddisfatto appena La metà degli intervenuti quando cominciò, come una furiosa grandinata a ciel sereno, un primo lancio di zeppole contro il palco sul quale era il presidente Bruniroccia con i professori istruttori e gli allievi indaffarati nell’operazione di quelle ormai definite “le zeppole del Duca”.
Bastò il primo lancio per far giungere in breve tempo sui malcapitati rappresentanti dell'I.P.A:S. di Napoli e di Capri una vera gragnola di palline dure come sassi tanto da farli correre verso i più immediati e sicuri ripari. Ma... quelli che a prima prova d’urto sembravano sassi non erano altro che le famose zeppole preparate con fedeltà certosina secondo lei ricetta di Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino. Così come aveva voluto il preside Franz Bruniroccia il quale, inspiegabilmente esultante ed eroicamente esposto ai tiri dolenti, cominciò ad arringare la folla.
Sapeva d'aver vinto. Nella dimostrazione data egli non voleva soddisfare il gusto dei palati di oggi, bensì intendeva portare a conoscenza il fine per cui Cavalcanti aveva ideato la ricetta.
La pasta doveva risultare dura per berci sopra l'ultimo bicchiere di buon vino da dessert e le zeppole per essere perfette dovevano assorbire, in proporzioni tanto vino quanto era la loro quantità ingerita alla fine di un pasto o di un festeggiamento. Nonostante il simpatico tafferuglio, il preside riuscì a spiegare tutto questo alla folla attenta dei forestieri e dei capresi.
La sue forbita disquisizione sul Cavalcanti fu quanto mai ampia e sottile e dette tempo al bravo chef Salvatore De Biase ed ai suoi allievi di riprendere a friggere le zeppole, ma questa volta, di quelle che noi conosciamo e apprezziamo per la lor deliziosa morbidezza. Partirono dal palco, riassestato in breve tempo, grandi vassoi di vere, fragranti zeppole di San Giuseppe, abbondantemente spolverate di zucchero. Scrosciarono gli applausi. Lo spirito culturale della manifestazione era stato colto in pieno e Bruniroccia vide, appagato, che la sue opera era stata coronata da successo.
 Buon Carnevale a tutti Brunella Cintioli
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I dolci di Carnevale in Veneto

Visto che siamo in periodi di Carnevale ecco i dolci tipici del Veneto in questo periodo.
In primis i CROSTOLI, detti anche Galani a Verona e Vicenza.
Ecco la ricetta
Fare con la farina una fontana sulla spianatoia, aggiungere le uova, la grappa, il burro fuso, il sale ed amalgamare sino ad ottenere un composto omogeneo.
Lasciare riposare per circa 1 ora. Stendere una sfoglia sottile, ritagliare con l'apposito attrezzo dei rettangoli da dorare in olio caldo ed abbondante.
Rigirarli, per ben 2 volte, scolarli dall'eccesso di grasso, porli su carta assorbente e spolverarli abbondantemente di zucchero.


Poi le FRITTELLE.
Quelle classiche hanno solo uvetta, poi ci sono quelle arricchite con zabaione, crema o ricotta.
La ricetta antica e' data da Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V.
Il Marangoni scrive che nel '700 diviene "dolce nazionale dello Stato Veneto".
Sciogliere in un recipiente concavo il lievito di birra con poca acqua tiepida e lo zucchero; aggiungere la grappa e incorporare la farina aggiungendo l'acqua occorrente.
Poi lavorare bene la pasta fino a che non si formino bollicine di aria alla superficie, quindi coprirla con un tovagliolo e farla lievitare in un posto caldo.
Quando la pasta sara' almeno raddoppiata, incorporare l'uvetta, infine friggere in olio caldo e scolare le frittelle su carta assorbente, sistemarle su piatto di portata dando la forma di piramide, spolverarle con zucchero a velo e servirle ancora calde.

on gennaio 30, 2016 Nessun commento:
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giovedì 28 gennaio 2016

Revine Lago – Il misterioso Trenino scomparso nel lago “Una realtà che diviene leggenda”, Lucio Tarzariol bibliotecario di Revine Lago, scrive in ricordo del centenario della Grande Guerra

I laghi di Revine della pedemontana zona Nord-Est di Treviso furono teatro degli eventi bellici della prima e seconda guerra mondiale. Nella prima guerra mondiale, in seguito alla disfatta di Caporetto, anche Revine Lago venne occupata dai soldati austriaci. Più precisamente tra il novembre del 1917 e l’estate del 1918, periodo che segnò la fine della guerra, i paesi circostanti furono teatro di violenti scontri con il nemico, i quali iniziarono proprio nel territorio di Lago e terminarono a Revine in località Col della Spina. Il 4 novembre 1918 la guerra cessò, e anche a Revine si decise di firmare un armistizio col nemico; per l’occasione fu costruito anche un palco in località Pian del Pos, munito di finti cannoni di legno di gelso. Qui a Revine Lago correva anche la linea ferroviaria Decauville Revine-Vergoman costruita nel 1918 proprio dall’esercito austro-ungarico per il trasporto di viveri e munizioni.
La linea, per l’appunto, a scartamento ridotto, percorreva la Vallata, la Valmareno verso i paesi di Cison, Follina, Miane e la linea austriaca del fiume Piave. Tutta l’area, comprese le acque di Revine Lago, fu teatro di drammatici e tragici eventi in cui la popolazione fatta di donne, vecchi e bambini e costretta in uno stato di disperazione, era forzata a lavorare col freddo, con la pioggia o col sole nella speranza di avere un pezzo di pane o una minestra da mangiare alla sera. Un’ area ricca di ricordi e memorie, i cui luoghi ne nascondono ancora le tracce. Durante l’occupazione del 1918 venne costruita anche una teleferica a doppio filo portante che dal castello di Serravalle arrivava ai Con (frazione di Serravalle) e da qui al Masieron (sul confine di Serravalle), poi al borgo Bridòt, ed infine alle Lame di Revine dove, per l’appunto, si trovava la piccola stazione. Da qui partiva una ferrovia a scartamento ridotto che trasportava rifornimenti fino all’aeroporto militare di Cison. Si racconta che durante la ritirata i tedeschi o gli italiani affondarono il treno nel lago, dove, “secondo alcune testimonianze”, pare si trovi tuttora, sotto i sedimenti e la melma che si sono accumulati negli anni. Alcune voci parlano anche di un bottino affondato assieme al trenino, testimonianze che nel 2009 videro la convinzione univoca dei Comuni di Tarzo e Revine Lago a chiedere addirittura un contributo per verificare veridicità del fatto. Peccato che il contributo allora non sia stato accolto e non se ne fece nulla, come successe anni prima con i sommozzatori del Sile.
Alcune testimonianze orali riferiscono che il trenino correva anche su rotaie poggiate su un tavolaccio fissato sopra barconi galleggianti.
Di questa ferrovia ci sono ancora le prove. Infatti quando fu smartellata parte delle rotaie vennero portate a Vittorio Veneto e alcuni pezzi poi sono stati recuperati da abitanti del circondario per altri scopi, ad esempio presso la casa di Francesco Grava vi è un pezzo di quelle rotaie usato come trave della cantina. Alcuni tratti della ferrovia, secondo alcune testimonianze, pare siano ancora visibili; infatti, nella stagione di secca quando l’acqua dei laghi è bassa nel canale presso il ponticello in legno in Località Fratta di Tarzo, verso la “Taiada”, si dice sia ancora possibile vedere le vecchie rotaie della piccola ferrovia che portavano verso Cison di Valmarino.
Da “Il Piccolo Quotidiano”, rivista quindicinale, Speciale del 1-1989, stampata nel comune di Vittorio Veneto si legge in merito a questa ferrovia quanto segue:
“Ed ora corriamo verso tempi più recenti, quando a Revine, giù nelle Lame, c’era una stazioncina ferroviaria. Il trenino partiva da S. Andrea (Vittorio Veneto) e arrivava a Pieve di Soligo attraversando appunto la vallata dei laghi. Durante la prima guerra mondiale, i tedeschi trasportavano nei vagoncini armi e viveri. Gli italiani affondarono il convoglio e interrarono le rotaie. Parte di quel trenino ora sta sprofondato nella melma del lago di S. Maria. Alcuni anni fa era nelle intenzioni dei sommozzatori del Sile di recuperare il relitto, ma non se ne fece nulla.”
In una memoria del 15-11-2000 di Luca G. Peris invece si legge: “Riguardo le traversine sono andato 3 gg fa a fare un giro nella zona e secondo me sono traversine di piccole dimensioni, non come quelle attuali. Le ho trovate appena uscito da Vittorio Veneto, imboccando la via che da Serravalle, Vittorio Veneto, va verso Pieve di Soligo passando per Revine Lago, detta Via della Vallata, appena dopo il sottopasso della ferrovia, guardando sulla sx in alto si nota una palizzata costruita interamente con traversine.
A Revine Lago, nella zona delle lame, ho notato la struttura di una piccola stazione con una strada in mezzo ai campi. Poi ritornando sulla provinciale, in direzione Pieve, prima del centro di Santa Maria Lago si vede, a dx, un’abitazione che aveva delle traversine in giardino”.
Innocente Azzalini e Giorgio Visentin nel loro testo edito da De Bastiani 2007, dal titolo: ”La Ferrovia austriaca Sacile Vittorio (Dicembre 1917 – Ottobre 1918) in merito alla linea ferroviaria Decauville Revine-Vergoman scrivono: “Costruita dagli austro-tedeschi per il trasporto di munizioni e viveri all’inizio del 1918. La ferrovia i cui capolinea erano Sacile e il fronte del Piave, constava di un treno a scartamento normale da Sacile a S. Andrea di Vittorio, e poi da li, una teleferica trasportava il materiale oltre la stretta di Serravalle fino alla località Masieron in Comune di Revine Lago. Da questa località partiva una linea a scartamento ridotto che toccava tutti i paesi della Vallata; Lago-Fratta-Mura-a Cison di Valmarino passava nei pressi della chiesetta, mentre il cimitero fungeva da deposito di munizioni, poi proseguiva per Follina-Miane fino alla latteria Vergoman per proseguire poi verso Sud e arrivare attraverso il Cavalòt nel paese di Cison di valmareno. Da Vergoman esisteva un altro collegamento per mezzo di una funivia che raggiungeva la località Posa Puner e le montagne sovrastanti Miane. A Follina partiva un’altra linea in direzione di Susegana”.

http://artealiena.blogspot.it/2015/08/dalla-ricerca-del-bibliotecario-lucio.html



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La tranvia a Noventa Vicentina

Fra il 1887 e il 1979 la località fu servita dalla omonima stazione della tranvia Vicenza-Noventa Vicentina-Montagnana.
La linea rivestì un ruolo importante anche durante la prima guerra mondiale, quando numerosi profughi e sfollati provenienti dall'Altopiano di Asiago trovarono ospitalità in particolar modo nei comuni di Noventa Vicentina e Pojana Maggiore.
A partire dal 1948 Noventa Vicentina divenne località capolinea poiché a seguito di danneggiamenti subiti durante la seconda guerra mondiale, il tratto Noventa Vicentina-Montagnana fu cessato mentre il tratto Noventa Vicentina-Vicenza continuò ad essere attivo per i successivi 30 anni.
Sul sedime tranviario, dopo la sua dismissione, è stata realizzata la pista ciclabile Riviera Berica.


Un treno Vicenza-Noventa Vicentina sulla tranvia Vicenza-Noventa Vicentina-Montagnana, davanti all'Arco delle Scalette a Vicenza nel 1912
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Tranvia e ferrovia a Barbarano Vicentino

Il trasporto pubblico a Barbarano è garantito da autocorse svolte dalla società Ferrovie e Tramvie Vicentine (FTV).
Fra il 1911 e il 1924 la località fu servita da un'apposita diramazione della tranvia Vicenza-Noventa-Montagnana che vi si distaccava in prossimità della fermata denominata Ponte di Barbarano. Il Regio Decreto per tutta la tratta Vicenza - Montagnana è datato 24 febbraio 1910, compresa la diramazione da Ponte di Barbarano a Barbarano.
Nel 1924, con decreto ministeriale, fu chiusa tale tratta, lunga 3,6 km, in quanto la sua presenza avrebbe costretto i progettisti della ferrovia Treviso-Ostiglia, allora in costruzione, a realizzare un secondo cavalcavia ferroviario dopo quello già previsto sopra la linea principale nei pressi di Ponte di Mossano. L'abitato di Barbarano venne in seguito servito dalla stazione FS di Barbarano-Villaga.


Barbarano, il capolinea della tranvia
Stazione tranviaria di Barbarano
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Il capostazione che salvava gli ebrei(e poi non volle dirlo a nessuno)

Giornata Naz. per la mobilità dolce su ferrovie storiche dimenticate

http://www.corriere.it/…/capostazione-che-salvava-ebrei-poi…
Spiava nella posta i loro nomi. Poi li andava a cercare e li avvisava
corriere.it
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La ferrovia a vapore da Susegana a Pieve di Soligo (da oggitreviso.it)

PIEVE DI SOLIGO - 100 anni fa , l'inaugurazione della tramvia a vapore che collegava Susegana a Pieve di Soligo. .....

Era il 16 novembre del 1913. Il progetto ......rispondeva alla necessità di creare un mezzo adatto di collegamento tra i Comuni del Quartier del Piave e la linea ferroviaria nazionale della stazione di Susegana. L'attivazione della tranvia metteva quindi in grado i comuni del territorio di poter prendere parte attiva alla vita dei centri maggiori. Ha segnato un passo verso la loro vera elevazione economica e sociale". "Il progetto - continua il presidente del circolo - su un percordo di 12.800 km con binario unico a scartamento ridotto, disponeva delle stazioni capolinea a Susegana Stazione e a Pieve di Soligo, delle fermate intermedie a Colfosco, Falzè di Piave e Barbisano. Il materiale mobile - spiega - era costituito da tre locomotive, tre vetture di seconda classe, due miste di prima e seconda classe per il servizio viaggiatori e cinque carri chiusi e cinque aperti per il trasporto merci. Disponeva di una linea telefonica e fu realizzato dalla ditta Società Veneta per costruzione ed esercizio di ferrovie secondarie italiane.


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9a Giornata Nazionale delle Ferrovie non Dimenticate




Header sito
Co.Mo.Do. comunica che anche per quest'anno, si rinnova l'appuntamento con la "Giornata Nazionale delle Ferrovie NON Dimenticate." Dopo 8 edizioni, è sembrato giusto cambiare e scrivere "NON DIMENTICATE", frutto del lavoro decennale della Confederazione. Dedichiamo un mese intero alla mobilità dolce su sedimi dismessi e finalmente al lancio del turismo storico-ferroviario: da domenica 6 marzo al 6 di aprile vari gli appuntamenti e i tour che potranno dare ancora più forza e risalto alla missione di Co.Mo.Do. Quest'anno le associazioni e gli enti pubblici potranno organizzare gli eventi durante uno qualsiasi di questi 30 giorni. Chi volesse pertanto promuovere iniziative dentro la cornice di questa "giornata lunga un mese", può compilare a partire da oggi la form di iscrizione.
Quest'anno la Giornata si aprirà domenica 6 marzo con un viaggio in treno sulla tratta Sulmona-Carpinone, organizzato dalla Fondazione FS e Ass. Le Rotaie Molise, poi continuerà in una serie di iniziative articolate durante l'intero mese di marzo, tra le quali un importante convegno a tema nella Capitale, previsto per il 10 marzo, nonché il nuovo appuntamento con gli Stati Generali del Turismo MIBACT presso il Museo Ferroviario di Pietrarsa (NA) per i giorni 7/8/9 aprile.
Abbiamo altresì deciso di realizzare la "Quarta Maratona Ferroviaria" che si terrà nei giorni del 4/5/6 di aprile, con partenza da Palermo, per dare un segnale di attenzione al Mezzogiorno i cui servizi ferroviari sono notoriamente in condizioni critiche, ma sono anche ricchi di potenzialità turistiche non valorizzate - e conclusione, appunto, a Pietrarsa alla vigilia dell'apertura degli Stati Generali MIBACT.
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sabato 23 gennaio 2016

LUNARI 2016 dedicato all’altra ricostruzione



Com’è consuetudine l’Ecomuseo delle Acque ha dato alle stampe il Lunari del nuovo anno. L’edizione 2016, in occasione del quarantennale del terremoto, è dedicata all’altra ricostruzione, ovvero al recupero dell’architettura spontanea del Gemonese sopravvissuta al sisma, un patrimonio edilizio di grande valore storico-ambientale che traduceva alla perfezione le esigenze abitative sotto il profilo della funzionalità e dell’economia. Le fotografie di Graziano Soravito, a cui si accompagnano brevi testi descrittivi, documentano edifici tradizionali che sono stati ristrutturati dopo il terremoto in maniera rispettosa e consapevole, anche grazie all’articolo 8 di una delle leggi regionali, la 30 del 1977, che orientarono la ricostruzione del Friuli.

Insediamenti accentrati quali i borghi di Andreuzza e Saletti a Buja, Casali Marchetti ad Artegna, Borgo Lucardi a Montenars, ma anche singole costruzioni come Casa Lenuzza a Osoppo, Cjase dal Bet a San Floreano o un’abitazione in via Monte Brancot a Gemona, seppure legati a un contesto povero, evidenziano una capacità creativa e tecnologica straordinaria e un rapporto con l’intorno e il paesaggio che generava vere e proprie “unità ambientali”, di cui i costruttori di allora erano perfettamente consapevoli. Nel calendario sono pure inseriti alcuni edifici non ancora ripristinati (Cjase Cecot a Gemona, Cjase di Fasûl a Buja) che hanno miracolosamente resistito al trascorrere del tempo e richiedono con urgenza degli interventi di restauro: sono documenti storicizzati di un passato che ormai si può riconoscere solo in queste testimonianze materiali.

Le fotografie di Graziano Soravito dedicate all’architettura rurale del Gemonese sono esposte fino al 15 maggio presso il Laboratorio sul terremoto in piazza Municipio 5 a Gemona del Friuli. Chi fosse interessato può richiedere copia del Lunari alla segreteria dell’Ecomuseo.   


--------------------------------------
segreteria
Ecomuseo delle Acque del Gemonese
largo Beorcje 12 - Borgo Molino 
33013 Gemona del Friuli (UD)
info@ecomuseodelleacque.it
mob +39 338 7187227
skype mulinococconi
on gennaio 23, 2016 Nessun commento:
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'Le Parole della Terra' : all'Osteria il Cortivo il primo 'filò'

E' iniziato il viaggio de 'Le Parole della Terra',la rassegna informativa che riunisce a filò imprenditori,giornalisti,comunicatori,rappresentanti di associazioni e istituzioni locali,impegnati a riflettere sulle storie dei protagonisti (sovente silenziosi) che lavorano la Terra e sulle eccellenze che passione e sacrifici riescono a far nascere da essa.
Il primo appuntamento si è consumato all'Osteria il Cortivo,nello storico Borgo Malanotte di Tezze di Piave (Tv). Gioachino,Pierluigi ed Enrica hanno proposto un menù rigorosamente quotidiano : si è partiti dalla sopressa e dalla lingua della Macelleria La Carne di Vazzola (accompagnati dal vino rosso Torai,un pinot nero di Cantine Distilleria Maschio-Cima da Conegliano). Giuseppe Marin, fine cultore di storia locale, ne ha giustamente intessuto gli elogi.
E, per cuocere bene le carni, ecco l'idea di una nuova serie di barbecue, presentati da Kimmer ,
un'azienda artigianale di Tezze di Piave.
Poi via alla fortaia rognosa, con un tocco di Manzoni Bianco, fresco e beverino.
Martina e Mario, di Fregona, hanno proposto la loro farina di mais antico, il mais piadera , che dà come risultato una polenta gialla morbida,cremosa, senza grumi.
Hanno chiuso, si fa per dire, le tagliatelle caserecce al ragù d'anatra, che sono uno dei 'pezzi' forti dell'Osteria. Nadia, grande 'capa' de 'I Sapori del Grano' di Tezze, ha raccontato gli abbinamenti dei singoli cibi con i diversi pani in degustazione.
Immancabile il caffè con la correzione della storicissima grappa Perusai e, infine, una sorpresa : in piccoli bicchieri di cioccolato ecco Casanova, l'elisir rosso veneziano.
Ed è nella Venezia del 1700 che vi sembrerà di essere trasportati quando il vostro olfatto verrà avvolto dalla ciliegia, dalla fragola, dal limone…e poi dalla cannella, chiodi di garofano, vaniglia, noce moscata....e da molti altri indecifrabili e non ben definiti profumi che odorano di seduzione e d'Oriente.





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Serata con un menù di carne di 'mussa' alla Trattoria Piave di Tezze di Piave

Serata con un menù di carne di 'mussa' alla Trattoria Piave di Tezze di Piave.
Federico incontra gli amici, per una occasione di convivialità antica.
Le carni sono state procurate dalla Macelleria Da Dalt di Tezze di Piave. I vini sono stati firmati da Bonotto delle Tezze.
Un anteprima : il salame d'asino di Giovanni Coppiello, suggerito da Padova in Cucina, l'iniziativa di informazione che si svolge sotto il Patrocinio del Comune di Padova.

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CARNE DI MUSSO


Eventuali sinonimi e termini dialettali
Carne di musso, carne di asino.
La storia
L’asino domestico, il cui mantello è fulvo e grigio,
sembra discendere da quello selvatico africano che
vive in località povere di vegetazione, desertiche e
pietrose, grazie alla sua grande rusticità. L’asino
viene, oggi molto meno di un tempo, adoperato
per il tiro, per la sella e soprattutto per il basto ed è
molto apprezzato per il suo alto rendimento lavora-
tivo. La carne è molto sapida e viene spesso usata
per la confezione di insaccati, quasi sempre però
mescolata alla carne suina.
L’utilizzo e la preparazione delle carni di cavallo,
puledro e asino, che fanno parte integrante della
cucina tipica padovana, sembra aver avuto inizio
utilizzando le carni degli animali uccisi nelle nume-
rose battaglie medioevali particolarmente cruente
nella pianura a sud e sud-est di Padova. È da con-
siderare, inoltre, che la carne equina ha contribuito
nel passato ad aggiungere un po’ di proteine ad un
regime alimentare povero e basato sopratutto su
ortaggi e cereali.
Descrizione del prodotto
La carne d’asino è venduta nelle macellerie equine,
essendo molto simile per sapore e caratteristiche
nutritive a quella del cavallo. In provincia di Padova
è comune l’uso della carne di asino in particolare
cucinata in umido o brasata; nel caso dello spezza-
tino va cotta, in più riprese, circa tre giorni, con ag-
giunta di pomodoro, salvia, rosmarino, alloro, sale,
pepe, chiodi di garofano e cannella.
Processo di produzione
Gli asini, allevati allo stato brado e semibrado, ven-
gono alimentati senza l’utilizzo di farine di carne e
di alimenti di origine animale.
Usi
La carne di asino è utilizzata nella produzione di
salumi e insaccati e per la preparazione di stufati,
brasati e stracotti.
Reperibilità
Presso alcuni ristoranti, agriturismi e macellerie
equine nella provincia di Padova è reperibile tutto
l’anno.
Territorio interessato alla produzione
Padova e provincia.
on gennaio 23, 2016 Nessun commento:
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Polenta e musso



Testo di Roberta Libero. Appassionata autrice di tematiche culinarie sia in prosa che in versi. La sua grande passione per la cucina viene coltivata oltre che cucinando anche con lo studio e la ricerca storica. Membro dell'Associazione Nazionale Cuoche a Domicilio cura una rubrica di ricette e alimentazione sul sito www.pianuranews.it

LA RICETTA
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Muscolo di asino tagliato a piccoli pezzi grammi 600, 50 grammi di lardo alle erbe macinato, 2 cucchiai d'olio extravergine d'oliva, carota, sedano, cipolla tritati, in tutto 100 grammi, due bicchieri di vino rosso, uno spicchio d'aglio,  chiodi di garofano, una stecca di cannella, una piccola cipolla intera, abbondante rosmarino, sale, pepe, un centimetro di triplo concentrato di pomodoro (facoltativo), brodo.
PREPARAZIONE
Sciogliete il lardo in un tegame preferibilmente di alluminio pesante o, ancor meglio, di rame senza l'olio. Appena sciolto unite la carne, fatela insaporire e aggiungete le verdure tritate, lo spicchio d'aglio schiacciato e il rosmarino legato con spago da cucina. Sulla cipolla intera infilate i chiodi di garofano e la cannella e unitela alla carne. In questo modo avrete il profumo delle spezie  e non vi ritroverete le stesse sotto i denti! La ricetta classica non lo prevedeva, ma per dare colore potete aggiungere il concentrato. Meglio non usare pomodoro fresco che snaturerebbe la ricetta. Aggiungete anche l'olio. Fate scaldare il vino in un bricco a parte e versatelo sulla preparazione; fate cuocere coperto per almeno 4 ore, aggiungendo brodo caldo per non far asciugare troppo. Infine togliete la cipolla e il rosmarino e regolate di sale e pepe. La carne dovrà risultare tenera, ma non sfatta e il sugo limpido e denso.  Completate  con la polenta: “brustolà” o morbida è la sua  compagna ideale. Un consiglio: preparate il musso il giorno prima di consumarlo e completate la cottura prima di servirlo.  Riposare gli farà bene. È un tipo testardo e anche un po' ignorante, ha bisogno di ripetizioni!
LA STORIA
Da dove nasce l’usanza di consumare la carne equina in Veneto? Pare che il responsabile di questo che per alcuni è un vero “misfatto” gastronomico, risalga addirittura al tempo degli Ostrogoti, quindi a “cavallo”, è proprio il caso di dirlo, tra il quinto e il sesto secolo dopo Cristo. Narra la leggenda che Teodorico, re degli Ostrogoti,soggiornasse spesso nei pressi di Verona. Qui  sostenne una sanguinosa battaglia contro Odoacre, re degli Eruli. Dopo la vittoria Teodorico autorizzò i veronesi a festeggiare con la carne dei cavalli uccisi in battaglia. Ovviamente, dopo qualche giorno, il profumo della materia prima era poco invitante, così la carne venne cucinata con molto vino rosso, cipolla, altre verdure e spezie. La carne  così preparata è diventata la famosa “Pastissada de caval” un autentico “cavallo di battaglia” della cucina veronese.  L'uso della carne equina si diffuse in tutto il Veneto e anche nel vicino mantovano. In seguito il popolo iniziò ad usare anche la carne di asino, che noi veneti chiamiamo musso . Si utilizzavano asini molto vecchi, a fine carriera, per cui la cottura era lunghissima. Tagliata in piccolo pezzi, affogata nel vino e insaporita da lardo, verdure, chiodi di garofano, cannella e molto rosmarino, la carne diventava tenerissima, domata dalle molte ore passate a pipare sulla piastra della cucina economica. Sì, perché anche il musso, come il baccalà alla vicentina deve fremere sul fuoco, lentissimo, non andare al galoppo. È un asino, non un purosangue da corsa!  E con questa credo di aver esaurito i riferimenti linguistici in materia equina. Dopo la scoperta dell’America  ad accompagnare questo intingolo arrivò la polenta. “Polenta e musso” è uno dei nostri piatti più gettonati, soprattutto nelle feste di paese e nelle nebbiose sere d’autunno, davanti al camino acceso e  con un buon bicchiere di vino in mano. Se solo l'idea di mangiare la carne d'asino vi disturba, potete usare la carne di manzo; il gusto non sarà lo stesso, ma la cottura sarà decisamente più breve e il risultato vi soddisferà in pieno. Se poi siete proprio vegetariani, beh, non vi resta che mangiarvi la polenta!





on gennaio 23, 2016 Nessun commento:
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Il salame di mulo



Prodotto con carne di mulo, scegliendo solo i tagli più morbidi e magri
La carne, sminuzzata a mano, viene lavorata al naturale con la sola aggiunta di piante aromatiche e spezie di qualità
Al taglio la fetta è compatta e di un bel colore rosso cupo

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Il Mulo




Tutti ne parliamo, riferendoci a lui per la sua testardaggine, ma in pochi sanno cosa è veramente un mulo e qual è stato il suo ruolo nel corso della storia umana. Questo animale viene infatti confuso, non di rado, con l'asino e con il bardotto e, per i non esperti, viene quindi spontaneo chiedersi dove possa essere la differenza.
La prima differenza, quella con l'asino, è piuttosto lampante e può essere anche spiegata da un fatto genetico: il mulo è infatti un animale ibrido, derivante dall'incrocio tra lo stallone asino e la cavalla femmina. La differenza con il bardotto è invece un poco più sottile: se il mulo nasce dall'asino maschio e la cavalla femmina, il bardotto nasce invece dallo stallone cavallo e dalla mula femmina.
Al primo colpo d'occhio, questi ultimi due animali, potrebbero apparire simili, ma la differenza, che si presenta ad uno sguardo più attento, non è poi così difficile da vedere. La diversità deriva infatti dall'altezza: il mulo è alto quanto un normale cavallo, mentre l'altezza del bardotto si avvicina molto di più a quella della mamma asina è particolarmente più ridotta. Ovviamente però, l'altezza al garrese di entrambe varia, anche di molto, a seconda degli incroci tra le diverse razze asinine e cavalline, ed, in sintesi, delle diverse caratteristiche dei genitori.
Per la grandissima presenza di varianti negli incroci, come ben si può capire, risulta veramente difficile poter dare una descrizione precisa dei muli; anche se possiamo dire che, in generale, il mulo somiglia quasi del tutto al cavallo per altezza, dimensioni e conformazione. L'incollatura è corta e la criniera è, di solito, assente o, al massimo, si presenta con crini duri e corti, quasi a spazzola. Il tronco ha le proporzioni tipiche del cavallo anche se è un poco più raccorciato e più grosso. Il mantello è ruvido e, solitamente, baio scuro, anche se la colorazione, ovviamente, può variare con diverse tonalità da esemplare ad esemplare.
Dal padre asino, invece, il mulo eredita le lunghe orecchie, la testa più grossa, le zampe massicce, gli zoccoli stretti ed alti, e l'infaticabilità e caparbietà che lo caratterizzano.
Animale frugale, dotato di forza, grande capacità di resistere alle condizioni più difficili, resistenza agli sforzi fisici e con un pizzico di testardaggine, il mulo è stato uno degli animali più utili e più vicini all'uomo nel suo lavoro e nel corso della sua storia.
Pochissimi esemplari, maschi e femmine, di muli sono fecondi, perciò la razza viene portata avanti con il continuo incrocio di asini e cavalle. Ma, nonostante sia il maschio che la femmina del mulo siano sterili, talmente grande è stata, ed è tuttora, la sua utilità che asini e cavalle continuano ad essere incrociati portando il mulo ad essere diffuso, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
Il mulo è un lavoratore instancabile che aiuta gli imprenditori agricoli a trasportare pesi e ad arare i campi, oltre ad essere un animale che si cavalca facilmente...sempre che sia stato cresciuto in maniera corretta.
Il carattere del mulo non è, infatti, una leggenda dal momento che si tratta di animali con uno spiccato spirito d'indipendenza e testardaggine. La rusticità che contraddistingue il mulo è però gestibile se lo si cresce in modo sereno, evitando rigide imposizioni che potrebbero accentuarne la scontrosità e facendone emergere l'alacrità: due caratteristiche che convivono da sempre questo riuscitissimo incrocio tra l'asino e il cavallo. 


 



on gennaio 23, 2016 Nessun commento:
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