Nata nel cuore di Roma, nel rione
Regola dove abitavano i vaccinari, la coda alla vaccinara è
considerata la "regina" del quinto quarto, ovvero quel che
rimane della bestia vaccina dopo che sono state vendute ai benestanti
le parti pregiate. Del quinto quarto fanno parte la coda, la trippa,
la pajata, il cuore, la milza, e tutte le frattaglie.
Esistono due versioni principali, che
si differenziano soprattutto nella parte finale della preparazione
dove in una viene preparata una salsa a base di cacao amaro, pinoli e
uva passa, mentre nell'altra no. Tuttavia per nessuna delle due
varianti si può parlare di ricetta originale in quanto entrambe
convivono da molti decenni nelle varie trattorie di Roma.
La prima versione è quella indicata
anche da Ada Boni nel suo libro "La cucina romana" (1929).
L'autrice, avendo come obiettivo principale una cucina casalinga,
indica una preparazione dal doppio uso: prepara con la stessa carne
un primo piatto con il brodo ottenuto lessando la coda, e poi un
secondo di carne costituito dalla coda alla vaccinara vera e propria.
La coda, quindi, veniva inizialmente
fatta lessare, in modo tale che il brodo si potesse utilizzare per
altri piatti. La carne continuava la cottura in un tegame dove era
stato fatto soffriggere un trito di aglio, cipolla, prezzemolo,
carota, lardo e una fettina di prosciutto. Quindi veniva aggiunta un
po' di salsa di pomodoro, parte del brodo e il sedano sbollentato. La
cottura proseguiva fino a che la salsa non si era ristretta.
L'altra versione è un piatto più
ricco, che si poteva trovare nelle trattorie e nei ristoranti, e alla
quale era stata dedicata anche una poesia da Cesare Simmi,
proprietario de "La Cisterna" a partire dal 1928.
Si prende una coda di bue e la si lava
sotto l'acqua corrente per toglierle le tracce di sangue. Si taglia a
tocchi, o "rocchi", e la si mette a rosolare con un trito
di lardo (o guanciale) e olio. Appena rosolata si aggiunge una
cipolla tritata con due spicchi d'aglio, dei chiodi di garofano, sale
e pepe. Si fa evaporare l'acqua buttata fuori dalla coda, si sfuma
con del vino bianco secco si fa cuocere per un quarto d'ora coperta.
Quindi si aggiunge un chilo di pomodori pelati a pezzi. Si lascia
cuocere per circa un'ora, poi si allunga la salsa con dell'acqua
calda fino a coprire la coda, si incoperchia nuovamente e si prosegue
la cottura per altre 3 ore. Nel frattempo si lessa del sedano. Appena
pronto, si scola e si mette in un tegame con un po' di sugo della
coda, i pinoli, l'uva passa e il cacao amaro. Questa salsa va fatta
bollire per qualche minuto e poi va versata sulla coda al momento di
servire.
Altre varianti prevedono l’uso anche
dei "gaffi", ovvero le guance del bovino, l'aggiunta a fine
cottura di un pizzico di cannella (Adolfo Giaquinto) o di noce
moscata (Carnacina-Buonassisi).
Bon appetito! E mentre la magnate
penzate a la cucina de le fate!
(Cesare Simmi)
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