Alla fine dell'autunno, le contrade e
le corti cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa,
perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni
produttive (primavera - estate). Nel cuore dell'inverno, la stalla
diventa il centro della vita sociale e familiare, perché le case
erano umide e fredde e la legna scarseggiava. Così, al primo freddo
novembrino, le famiglie di una contrada o di una corte, come i
contadini del paese, si riunivano nella propria stalla o in quella
del vicino e vi restavano fino a un'ora "da cristiani", al
caldo degli animali, sotto la luce di una lucerna a petrolio: era il
filò. Durante il filò si parlava dei più e dei meno, ma esso aveva
una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza
economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze, scarpette
e, soprattutto a filare. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle
ragazze durante il filò, magari sotto gli occhi attenti del moroso
che misurava la bravura della futura sposa. Le madri erano attente
custodi che tra le figliole e i ragazzi non ci fossero eccessive
confidenze. Anche le parole o le espressioni grasse dovevano essere
evitate. In questo aspetto si deve riconoscere l'insegnamento della
Chiesa che vedeva con preoccupazione morale la promiscuità dei filò.
Gli uomini si dedicavano alla riparazione delle "arte", gli
arnesi da lavoro. I "zoghi dei filó" erano un passatempo
ricercato dai giovani che, talvolta, rappresentava un premio e un
timoroso approccio tra ragazzi e ragazze con la scusa della
penitenza.
La penitenza poteva essere un bacio
alla "vecia Maria", uscire nella neve, baciare la coda di
una vacca e, raramente per la verità, fare una carezza a qualche
"butela"!
Ma il momento magico dei filò, che
passava dalla povertà quotidiana allo splendore della creazione
fantastica, scaturiva dai racconti dei "contafole", detti
anche "poeti". La trama delle loro "fole' ripete
schemi e argomenti noti in tutto il mondo, ma l'importanza della
favola veneta deriva da un intrinseco valore, dovuto all'uso del
dialetto, al riflesso che in essa troviamo di una società oggi
scomparsa. C'erano poi le "fole de ciesa", ad argomento
religioso, capaci di suscitare nei ragazzi motivi di educazione
morale. Così il filò si trasformava in una scuola senza banchi,
dove i ragazzi apprendevano dagli anziani il modo di pensare e di
comportarsi, secondo l'esperienza.
L'esperienza "dei veci" era
l'unico libro aperto: alla scrittura, i contadini sostituivano la
parola.
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