In
 questi giorni, non sapendo che cosa fare, mi sono dedicato a spolverare
 e riordinare i miei libri. Mi è capitato fra le mani il Decamerone e ne
 ho sbirciato distrattamente l’introduzione: è stato come leggere una 
cronaca contemporanea.
……
 Dico adunque che giá erano gli anni della fruttifera Incarnazione del 
Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando
 nell’egregia cittá di Firenze, oltre ad ogni altra italica nobilissima,
 pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazion de’ corpi 
superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra 
correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti 
orientali incominciata, quelle d’innumerabile quantitá di viventi avendo
 private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, inverso 
l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. Ed in quella non valendo 
alcun senno né umano provvedimento, per lo quale fu da molte immondizie 
purgata la cittá da uficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi 
dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazione della 
sanitá, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte ed in 
processioni ordinate ed in altre guise a Dio fatte dalle divote persone;
 quasi nel principio della primavera dell’anno predetto orribilmente 
cominciò i suoi dolorosi effetti, ed in miracolosa maniera, a 
dimostrare. ……
A
 cura delle quali infermitá né consiglio di medico né vertú di medicina 
alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che la natura del 
malore nol patisse o che l’ignoranza de’ medicanti, de’ quali, oltre al 
numero degli scienziati, cosí di femine come d’uomini senza avere alcuna
 dottrina di medicina avuta mai, era il numero divenuto grandissimo, non
 conoscesse da che si movesse e per conseguente debito argomento non vi 
prendesse, … solamente pochi ne guerivano…..
E
 fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagl’infermi di 
quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che
 faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto vi sono 
avvicinate. E piú avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il 
parlare e l’usare con gl’infermi dava a’ sani infermitá o cagione di 
comune morte, ma ancora il toccare i panni e qualunque altra cosa da 
quegli infermi stata tócca o adoperata pareva seco quella cotale 
infermitá nel toccator trasportare. ….
Ed
 oltre a questo ne seguí la morte di molti che per avventura, se stati 
fossero aiutati, campati sarieno; di che, tra per lo difetto degli 
opportuni servigi, li quali gl’infermi aver non poteano, e per la forza 
della pestilenza, era tanta nella cittá la moltitudine di quegli che di 
dí e di notte morieno, che uno stupore era ad udir dire, non che a 
riguardarlo. Per che, quasi di necessitá, cose contrarie a’ primi 
costumi de’ cittadini nacquero tra coloro li quali rimanean vivi. Era 
usanza, sì come ancora oggi
 veggiamo usare, che le donne parenti e vicine nella casa del morto si 
ragunavano, e quivi con quelle che piú gli appartenevano piagnevano; e 
d’altra parte dinanzi alla casa del morto co’ suoi prossimi si 
ragunavano i suoi vicini ed altri cittadini assai, e secondo la qualitá 
del morto vi veniva il chericato, ed egli sopra gli omeri de’ suoi pari,
 con funeral pompa di cera e di canti, alla chiesa da lui prima eletta 
anzi la morte n’era portato. Le quali cose, poi che a montar cominciò la
 ferocitá della pestilenza, o in tutto o in maggior parte quasi 
cessarono ed altre nuove in lor luogo ne sopravvennero. Per ciò che, non
 solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, ma assai 
n’eran di quegli che di questa vita senza testimonio trapassavano: e 
pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ 
suoi congiunti fossero concedute.
Che
 piú si può dire, lasciando stare il contado ed alla cittá ritornando, 
se non che tanta e tal fu la crudeltá del cielo, e forse in parte quella
 degli uomini, che infra il marzo ed il prossimo luglio vegnente, tra 
per la forza della pestifera infermitá e per l’esser molti infermi mal 
serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura che aveano i sani, 
oltre a centomilia creature umane si crede per certo dentro alle mura 
della cittá di Firenze essere stati di vita tolti, che forse, anzi 
l’accidente mortifero, non si saria estimato, tanti avervene dentro 
avuti? …
Ho
 tralasciato alcuni particolari sulle bassezze a cui si giunse nella 
Firenze del ‘300, sperando che non siano attuali, ma per il resto sembra
 di leggere una cronaca di oggi!
Ebbene,
 sembra impossibile, ma Boccaccio, che dovette assistere ad una tragedia
 come questa, negli anni immediatamente successivi (da 1 a 4) ebbe la 
forza di scrivere un’opera sostanzialmente serena, come nata da chi sia 
in grado di comprendere e superare lo strazio e riprendere la sua vita, 
conoscendone tutte le gioie ed i dolori e descrivendo l’essere umano con
 tutte le sue caratteristiche di sublimi virtù e di bassezze morali.
Da
 questa obiettiva e serena descrizione dell’uomo sotto tutti i suoi 
aspetti nacque lo spirito dell’Umanesimo un movimento, prima letterario,
 poi filosofico e culturale, che poi portò al grande Rinascimento 
Italiano.
Ora mi sono chiesto: potrebbe nascere qualcosa di simile anche adesso, o meglio quando questa catastrofe sarà passata?
In
 effetti qualche indizio esiste: dallo spirito di fratellanza che sembra
 manifestarsi in Italia ed anche nel mondo (vedi generosi aiuti giunti 
in Italia  dalla Russia) di fronte alla pandemia esplosa a livello 
internazionale, anche se non mancano, in senso contrario, spettacoli di 
stupida presunzione egoistica (vedi le tante persone che, incuranti dei 
divieti, escono di casa incuranti del pericolo, di contagiare sé stessi e
 gli altri, con possibili esiti mortali).
Anche
 l’ammirazione per lo sforzo eroico dei medici e degli infermieri, 
sembra unirci e dimostrare che stiamo riscoprendo dei valori che vanno 
al di là del semplice consumismo, ma che indicano una volontà di agire 
tutti insieme per il bene comune.
Un esempio di ciò è rappresentato anche da una recente iniziativa imprenditoriale dal nome emblematico: “E.S.A. – Excellentia Superior Animus”(L’animo superiore crea cose eccellenti),
 nata dalla volontà di imprenditori nati nell’Appennino o comunque 
legati ad esso, di impegnarsi per una rinascita economica, ma anche 
sociale e culturale dell’Appennino stesso, una terra che ha saputo dare 
grandi intelligenze, da Leonardo a Marconi, a Benedetto Croce, a Giorgio
 Morandi, che però si sono dovuti allontanare dalla terra natale per 
emergere.
Il
 progetto di questa rete è di favorire la rinascita di questa terra, 
attraverso un nuovo modo di organizzare la produzione e le attività 
economiche, privilegiando la conservazione e la promozione della 
bellezza dei paesaggi e della loro biodiversità.
Questo processo di valorizzazione dell’Appennino, prima di tutto economica, ma contemporaneamente anche sociale, partirà dell’attività turistica e da un’agricoltura biocompatibile e capace di scoprire e valorizzare i prodotti tipici del territorio;
 in questa fase ci si avvarrà dell’importante collaborazione della 
Facoltà di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di 
Bologna e della Scuola Alberghiera e di Ristorazione di Serramazzoni. 
Successivamente si interverrà sull’ artigianato e sulla  piccola-media industria, sempre però in chiave ecosostenibile
Se
 questo è ciò che sta nascendo in un territorio che da decenni soffre lo
 spopolamento e la povertà, spero proprio che ciò sia indizio di una 
volontà di autentico rinnovamento che coinvolga tutto il Paese, alla 
riscoperta di valori umanistici, sicché si giunga ad un nuovo 
Rinascimento, grazie ad una volontà di autentica rinascita, che preveda,
 sì, il legittimo guadagno, ma sempre unito ad uno sforzo per  procurare
 anche un bene comune a tutti.
Gianluigi Pagano


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