giovedì 18 giugno 2020

Ipercorpo :: Tempo reale



Le parole dei nostri curatori

 
 

La direzione artistica di Ipercorpo è formata da singole personalità con forte carica autorale, unite in una comune sperimentazione artistico-progettuale. Questa peculiarità, che rappresenta uno dei nostri maggiori patrimoni, ha reso possibile il progressivo ampliamento del festival nelle molteplici discipline e progettualità che oggi lo caratterizzano.
L’emergenza che stiamo vivendo ci ha stimolati a condividere con voi le riflessioni dei nostri curatori sul “tempo reale”, pensieri e parole che ogni quindici giorni si declineranno in base alle diverse sezioni di Ipercorpo e ci guideranno verso la prima parte di Ipercorpo :: Tempo reale.
LA RIUNIONE DEL VENERDÌ. Una riflessione Davide Ferri, curatore Sezione Arte
Durante questi mesi la riunione settimanale via skype (venerdì, ore 12) tra curatori e direttore di Ipercorpo –  l’incontro con Elisa, Mara, Valentina, Claudio e Davide – è stato un appuntamento fisso, un piccolo rito in tempo di quarantena.
Lo è stato, inderogabilmente, anche se non c’era niente di nuovo da dirsi, anche se nessuno di noi aveva troppa voglia di lanciarsi in previsioni e discussioni sui massimi sistemi, anche se la conversazione era segnata da divagazioni e silenzi.
Nessuno di noi ha mai sottolineato in modo troppo enfatico i dubbi, o l’eccezionalità della situazione che Ipercorpo si trova a vivere: pur identificandosi con uno spazio preciso (l’ex deposito ATR, in via di ristrutturazione), Ipercorpo ha infatti saputo adattarsi negli anni a diversi luoghi e condizioni di esistenza, e ogni cambiamento o passaggio è stato un’occasione per ridefinire la propria identità – a partire dalla parola da affiancare al nome… Evento? Festival? Come utilizzarle schivando il fastidio provocato dall’abuso che se ne fa da diverso tempo a questa parte? – e le forme di incontro tra opere e spettatori: Elisa e Davide, per esempio, lavorano già da qualche anno sulla condivisione dell’ascolto di musica riprodotta, in assenza del musicista, con un pubblico raccolto in una stanza, o in punti diversi dello spazio del festival.
Nelle riunioni del venerdì si finiva per ribadire sempre la stessa cosa, come un chiodo fisso.
C’è un nucleo solido all’interno di Ipercorpo: l’esperienza dal vivo, l’irrinunciabile momento in cui attori e spettatori sono gli uni di fronte agli altri, e gli spettatori formano una specie di comunità temporanea, il pubblico.

E le arti visive? Le arti visive hanno invece suggerito in diversi momenti della loro storia recente la possibilità che l’opera si possa anche non vedere, o vedere distrattamente, o vedere con la coda dell’occhio.
Non basta forse una breve descrizione, una piccola frase, per esaurire attraverso la parola l’esperienza di un ready made o di molte altre opere che trafficano con l’idea di ready made duchampiano? E siamo sicuri che i lavori – che so, giusto per fare un esempio – di Maurizio Cattelan nascano per essere visti dal vivo più che chiacchierati e discussi negli spazi della comunicazione?

Eppure all’interno di Ipercorpo l’arte è sempre stata qualcosa di cui fare esperienza dal vivo, in modo, mi vien da dire, “performativo” (non sto parlando di performance, di quelle ce ne sono state pochissime nelle edizioni passate, proprio per evitare pericolose collisioni con le altre proposte del festival).
Mi riferisco al modo in cui l’arte viene fruita: le opere collocate in spazi adiacenti a quelli del teatro e della musica, con il pubblico che le incontra incidentalmente oppure perché sollecitato da una specie di passaparola spontaneo. Il curatore che aspetta che si raduni un piccolo gruppo per una visita. Il dialogo della domenica pomeriggio con gli artisti invitati, un momento sempre segnalato all’interno del programma, come uno degli spettacoli.
Voglio dire: l’attività discorsiva, il racconto, da svolgere sempre al cospetto delle opere, è diventato sempre più importante dentro Ipercorpo. È stato così nell’edizione del 2018 “Il padre”, in cui le opere erano punti da cui si dipanavano i fili di storie di persone vere, di padri naturali ed elettivi, e nell’ultima edizione, “La pratica quotidiana” (2019), in cui la sezione arte diventava luogo del fare, in evoluzione, uno spazio di confronto quotidiano tra artisti e pubblico.

E la sezione arte del prossimo ottobre, invece, quella di “Tempo reale”?
Ci sarà modo di raccontarla  –  non qui, non adesso  –  ma quello che mi preme dire ora è che i vincoli, le restrizioni, i limiti, spero rafforzeranno, è perfino retorico dirlo, le forme di quell’esperienza dell’opera di cui ho parlato sopra.
Dunque: quattro artisti e una sola opera al giorno, una per ognuno dei giorni del festival, e le parole attorno ad essa in presenza dell’artista, magari verso sera o poco prima della chiusura.



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