martedì 4 settembre 2018

SE A PARLARE NON RESTA CHE IL FIUME Ambiente sensibile per le tribù della Valle dell'Omo

Un’installazione artistica di Studio Azzurro e della fotografa
Jane Baldwin, a sostegno di Survival International
MUDEC - Museo delle Culture di Milano
28 settembre 2018 – 6 gennaio 2019
Il MUDEC – Museo delle Culture presenta un’installazione artistica multimediale dal titolo
“Se a parlare non resta che il fiume” che aprirà al pubblico il 28 settembre 2018 all’interno del palinsesto
“Geografie del Futuro”. Il progetto intreccia il lavoro artistico sul campo della fotografa ed educatrice
americana Jane Baldwin (‘Kara Women Speak’) con la creatività di Studio Azzurro, il celebre gruppo di
ricerca artistica fondato a Milano nel 1982.
Un’esperienza artistica immersiva capace di suscitare empatia per le vite, le terre e le culture dei popoli
indigeni che, nella bassa Valle dell’Omo in Etiopia e attorno al Lago Turkana in Kenya, sono stati colpiti da
una drammatica crisi umanitaria e ambientale provocata dall’uomo. Il progetto mira anche a
sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importante lavoro di Survival International, il movimento mondiale
per i popoli indigeni.
Nel giugno 2018, l’UNESCO ha inserito il Lago Turkana nella Lista dei Patrimoni dell’Umanità in Pericolo.
“Noi siamo le nostre storie – storie che possono rappresentare una prigione o un’opportunità di riscatto”
ha commentato Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro. “Grazie alla forza delle voci e delle immagini di cui
è intessuto, questo racconto vuole rompere il silenzio ed essere una liberazione, generare nuove visioni
e favorire un cambiamento di prospettiva. Trasportati come per incanto lungo le rive del fiume Omo,
circondati dalle voci e dalle parole dei suoi abitanti e al cospetto dei loro volti, per i visitatori sarà come
far proprie le storie e i timori di quei popoli minacciati.”
L’installazione artistica “Se a parlare non resta che il fiume” racconta la storia attuale di un fiume e dei
popoli che esso sostiene – principalmente attraverso le voci delle donne.
Tra i suoni ovattati del lento mormorio dell’acqua, il pubblico è avvolto nella penombra di uno spazio
senza colore. Al centro dello spazio, una metaforica scultura di creta rossa si libra a mezz’aria
simboleggiando il corso sinuoso del fiume – la sua superficie secca a rappresentare il letto del fiume
inaridito, privato delle sue esondazioni naturali da un controverso progetto di sviluppo in cui l’Italia gioca
un ruolo chiave. Attraverso un semplice gesto del visitatore, un frammento di quella materia si tramuta in
amuleto. E il fiume diventa cantastorie, il suono del suo scorrere si fa parola. Come d’incanto, grazie al
lento comparire dei loro volti, emergono via via le testimonianze delle donne, che si intrecciano e
sovrappongono prima di tacere e dissolversi lentamente nel gorgoglio delle acque. Infine, a parlare non
resta che il fiume.
“Con la mia arte voglio richiamare l’attenzione sulle minacce che incombono sui popoli indigeni della
valle dell’Omo e del Lago Turkana” ha dichiarato la fotografa Jane Baldwin. “Ho ascoltato e raccolto le
storie di queste donne in dieci anni di viaggi compiuti tra il 2005 e il 2014. Oggi la mia speranza è che
questa installazione immersiva e la collaborazione che le ha dato vita produca empatia, accresca la
consapevolezza e risvegli la nostra umanità – agendo da catalizzatore per un cambiamento.”
“Se a parlare non resta che il fiume” è un ambiente sensibile per le tribù della Valle dell’Omo in cui il
visitatore interagisce con le protagoniste donne, depositarie delle tradizioni orali attraverso racconti, miti
e canti. Il viaggio multimediale e poetico rende omaggio alle donne della regione – culla dell’umanità –
e rivela i profondi legami esistenti tra l’uomo e l’ambiente, tra noi e gli altri popoli. In un tempo in cui
la corsa a risorse sempre più scarse continua senza sosta, l’installazione fa riflettere sull’importanza di
salvaguardare la diversità biologica e culturale per il futuro di tutta l’umanità.
“La gente dei nostri villaggi non vuole perdere il fiume, la nostra terra e le nostre foreste. È il posto dove
siamo nati” ha raccontato eloquentemente una matriarca Kara a Jane Baldwin. “Cosa penseresti se
qualcuno piombasse a casa tua e ti dicesse ‘Vai via! Voglio prendermi la tua casa e la tua terra per il mio
progetto’? Ti piacerebbe se qualcuno venisse e semplicemente ti mandasse via dalla tua casa, dalla tua
terra? Ti piacerebbe? È proprio ciò che ci aspetta.”
Da dieci anni, l’ecosistema del bacino del fiume Omo – e le persone che ne dipendono – sono minacciati
da un imponente progetto idroelettrico made in Italy e dal conseguente accaparramento di vaste porzioni
di terra, trasformate in enormi piantagioni agro-industriali di cotone e canna da zucchero – il tutto per
esportazione.
“Come tutti i popoli indigeni del mondo, anche le tribù della valle dell’Omo sono minacciate da razzismo,
furti di terra, sviluppo forzato e violenze genocida” ha dichiarato Francesca Casella, direttrice di Survival
International Italia. “Ci auguriamo che le storie raccontate in ‘Se a parlare non resta che il fiume’ inspirino
i visitatori a partecipare alla battaglia contro una delle crisi umanitarie più urgenti e raccapriccianti del
nostro tempo. Survival lotta contro lo sterminio dei popoli indigeni dal 1969. Abbiamo bisogno di sostegno
per garantire loro un futuro – per i popoli indigeni, per la natura, per tutta l’umanità.”

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