giovedì 4 giugno 2020

Ipercorpo :: Tempo reale Le parole dei nostri curatori



La direzione artistica di Ipercorpo è formata da singole personalità con forte carica autorale, unite in una comune sperimentazione artistico-progettuale. Questa peculiarità, che rappresenta uno dei nostri maggiori patrimoni, ha reso possibile il progressivo ampliamento del festival nelle molteplici discipline e progettualità che oggi lo caratterizzano.
L’emergenza che stiamo vivendo ci ha stimolati a condividere con voi le riflessioni dei nostri curatori sul “tempo reale”, pensieri e parole che ogni quindici giorni si declineranno in base alle diverse sezioni di Ipercorpo e ci guideranno verso la prima parte di Ipercorpo :: Tempo reale.
LA SCELTA DEL SILENZIO È QUELLA CHE MI VESTE.
Una riflessione di Elisa Gandini e Davide Fabbri, curatori Sezione Musica
"Come c'è un'arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c'è pure un'arte dell'ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è mai stata data norma". (Primo Levi, "La chiave a stella")

Lo schermo è bianco, tremolante. Le parole si formano ed annullano,
in un gioco affabulatorio, in cui tutto ciò che si compone è stato
precedentemente scomposto con cura. Faccio appello al metodo che,
per eccellenza, abbiamo sentito nostro, lungo questo percorso di lavoro
condiviso in anni di passioni scandagliate, scambiate, rinnovate,
perse, consumate, ritrovate. Ti scrivo.

Il balletto bulimico di opinioni mi ha spinta fuori dai confini di un tavolo
di confronto imbandito con opulenza, verso l’osservazione,
l’ascolto, il racconto, ma non verso la produzione instancabile di nuovi modelli
e altre proposte, che pure accolgo con curiosità e fiducia.

La scelta del silenzio è quella che mi veste.

Anni trascorsi ad interrogarsi ed a ricercare una nuova qualità
dell’ascolto, in termini di scelta squisitamente personale, di presenza
al presente, scovando strade, proponendo modalità di fruizione diverse,
conquistando punti di partenza, ed ecco sopraggiungere una variabile assai
critica. Anche costretti ad ascoltare, ci troviamo per lo più inermi
e con strumenti di codifica insufficienti: dunque, chiedo, l’endiadi di vacuità
è l’unica che produce onde nello stagno in cui affondiamo i piedi?
Era musica quella che abbiamo ascoltato nelle e dalle nostre case?
Che suono era quello che ci ha inseguito in questi mesi? Ne abbiamo catturato uno, cosa rimane
o cosa si (ri)genera? Torno a (ri)lanciare il quesito.
La musica ci (ri)troverà se sapremo mantenerci vigili nell'attesa, se, per prima cosa e con urgenza estrema, torneremo abili all’ascolto ed allo sguardo.

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