Nuovo giro di giostra per
i dazi USA sulle importazioni europee, previsti per metà
agosto. Fino ad oggi i vini italiani sono stati risparmiati,
al contrario dei vini fermi francesi che da novembre 2019 a
marzo 2020 hanno subito un calo nelle esportazioni del 24%
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una
riduzione che a volume è risultata più bassa (-14%) solo
grazie ad un “downgrade” dei vini spediti: fino ad ottobre
2019 – primo mese di applicazione del dazio aggiuntivo del
25%- il prezzo medio all’export dei vini fermi francesi
negli USA si aggirava sopra gli 8,5 euro/litro, per poi
toccare il minimo di 6 euro nel marzo di quest’anno.
Bologna, 27
luglio 2020 – Si è conclusa ieri l’ennesima
consultazione pubblica indetta dall’USTR (United States Trade
Rapresentative) per il nuovo “giro di giostra” che dovrebbe
indicare i prodotti soggetti a dazi aggiuntivi – a partire dal
prossimo 12 agosto - da parte dell’amministrazione
statunitense nell’ambito dell’ormai tristemente noto
“contenzioso Boeing-Airbus”.
Fino ad ora la
“mannaia” delle gabelle americane ha colpito l’Italia
principalmente sul fronte dei formaggi e degli spirits,
risparmiando – al contrario di tutti gli altri produttori
europei – i vini, ma il rischio di un loro coinvolgimento è
sempre più forte.
Per capire gli
impatti negativi di un inasprimento nei dazi all’import è
utile analizzare quello che è successo nelle esportazioni di
vini fermi francesi sul mercato americano a partire dalla fine
dello scorso anno. Considerando l’export di tali vini nel
periodo novembre 2019 – marzo 2020 (vale a dire dal primo mese
di applicazione piena del dazio aggiuntivo all’ultimo
pre-Covid – e quindi non influenzato dagli effetti economici
della pandemia) e confrontandolo con lo stesso intervallo di
tempo dell’anno precedente, si evince un calo del 24% a valori
e del 14% a volumi. Per dare un termine di paragone, si pensi
che nello stesso periodo di tempo, le importazioni a volume
negli Stati Uniti della stessa categoria di vini sono
diminuite per meno del 2%, restando praticamente stazionarie
per quanto riguarda l’Italia (-0,4%) e addirittura in crescita
in merito alla Nuova Zelanda (+8%).
“Un eventuale
dazio sulle esportazioni di vini fermi italiani andrebbe a
colpire soprattutto quelli di fascia alta, già fortemente
penalizzati dalla chiusura dell’Horeca in gran parte degli
USA, il principale canale di vendita dei nostri fine wines
”, dichiara Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine
Monitor.
In effetti, il
calo subito dalle esportazioni francesi non ha avuto eguali,
ad esempio nei vini spagnoli (anch’essi penalizzati dal dazio
di ottobre 2019 ma contraddistinti da un posizionamento di
prezzo medio notevolmente più basso): nello stesso periodo di
tempo, la riduzione dell’export di vini fermi dalla Spagna
negli USA si è limitata ad un -3%.
“Un’ulteriore
dimostrazione del fatto che gli eventuali dazi aggiuntivi
andrebbero a colpire soprattutto i nostri fine wines la si
desume dal crollo nell’export dei vini rossi Dop della
Borgogna che nel medesimo periodo di tempo analizzato è
stato del 34%. E tali vini presentano un prezzo all’export
superiore del 210% a quello medio dell’intera categoria di
vini fermi francesi esportati negli USA” ha aggiunto Pantini.
Il danno inferto
dai dazi all’export di vini fermi francesi è stato quindi
doppiamente rilevante: se da un lato ha ridotto le quantità
esportate, dall’altro ha costretto i produttori transalpini ad
una rimodulazione verso il basso – in termini di prezzo -
dell’offerta di vendita, nel tentativo di preservare la quota
di mercato. Basti infatti pensare che il prezzo medio
all’export dei vini fermi francesi negli Stati Uniti è
crollato dai massimi di maggio 2019 quando superava i 9,4
euro/litro ai 6 euro di marzo 2020, con un calo di oltre il
36%.
Figura
– Prezzo medio all’export (€/litro) negli USA dei vini
fermi imbottigliati* francesi
* fino a 2 litri.
Fonte:
Nomisma Wine Monitor su dati Eurostat.
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