Il pan di sorc è un pane realizzato con la miscela di tre farine: mais (sorc
in lingua friulana) a ciclo vegetativo breve (cinquantino), frumento e
segale, un tempo si impastava in casa e poi si portava al forno per la
cottura. Nelle comunità di Buja e Artegna questo pane diventava dolce e
speziato con l’aggiunta di fichi secchi e semi di finocchio selvatico ma
anche uvetta, cannella e noci. Questa variante tradizionalmente si
preparava per le festività natalizie e si regalava come dolce ben
augurante.
Il pan di sorc secco veniva utilizzato anche come ingrediente del crafùt, una polpetta fatta con fegato di maiale macinato finemente e impastata con pane, uva sultanina, scorze di limone, mele, salata e speziata e avvolta nel mesentere (membrana che sostiene l’intestino) dello stesso suino, alla fine cotta in abbondante soffritto di cipolla e servita con polenta morbida di cinquantino.
Entrambe le preparazioni ricordano altrettanti prodotti in uso ancora oggi nelle comunità d'oltralpe frequentate dai fornaciai friulani a cavallo tra Ottocento e Novecento come lo Stollen e il Leberwurst.
L’abbandono della pratica della coltivazione del cinquantino e i mutati gusti alimentari, alla fine degli anni Sessanta avevano relegato il prodotto ad un consumo unicamente casalingo e rischiava l'estinzione.
Il Presidio Slow Food ha ridato slancio all'antica ricetta dolce e riportato sulle tavole il pan di sorc oggi commercializzato sia nella versione dolce che in quella salata.
Il progetto “Pan di Sorc” si pone nell’ottica della valorizzazione del patrimonio culturale locale, un complesso aggregato di natura e storia, abitudini, lingua e tradizioni. La riscoperta di un prodotto agroalimentare della tradizione locale diventa così strumento strategico per occuparsi “attivamente” del territorio, affrontare una serie di argomenti strettamente intrecciati e complementari (esplicitando la vocazione “interdisciplinare” dei processi di promozione della cultura locale), intervenire sulla qualità della vita e del paesaggio, creare una rete di scambi e relazioni con enti, istituti e associazioni per introdurre strategie di sviluppo rurale incentrate sulla sostenibilità ambientale.
Le finalità del progetto sono molteplici: il recupero di vecchie varietà di cereali un tempo coltivate e ora circoscritte a piccolissimi areali di coltivazione; l’organizzazione di una rete di “conservatori” che si impegnino a preservare parte del germoplasma presente a livello locale; l’ottimizzazione delle pratiche agricole attraverso la rotazione e la successione delle colture; la sperimentazione di tecniche agronomiche sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; l’avvio di una filiera agroalimentare, di raccordo tra produttori, trasformatori e consumatori; la riqualificazione del paesaggio agrario; la trasmissione di saperi e memorie.
Il pan di sorc secco veniva utilizzato anche come ingrediente del crafùt, una polpetta fatta con fegato di maiale macinato finemente e impastata con pane, uva sultanina, scorze di limone, mele, salata e speziata e avvolta nel mesentere (membrana che sostiene l’intestino) dello stesso suino, alla fine cotta in abbondante soffritto di cipolla e servita con polenta morbida di cinquantino.
Entrambe le preparazioni ricordano altrettanti prodotti in uso ancora oggi nelle comunità d'oltralpe frequentate dai fornaciai friulani a cavallo tra Ottocento e Novecento come lo Stollen e il Leberwurst.
L’abbandono della pratica della coltivazione del cinquantino e i mutati gusti alimentari, alla fine degli anni Sessanta avevano relegato il prodotto ad un consumo unicamente casalingo e rischiava l'estinzione.
Il Presidio Slow Food ha ridato slancio all'antica ricetta dolce e riportato sulle tavole il pan di sorc oggi commercializzato sia nella versione dolce che in quella salata.
Il progetto “Pan di Sorc” si pone nell’ottica della valorizzazione del patrimonio culturale locale, un complesso aggregato di natura e storia, abitudini, lingua e tradizioni. La riscoperta di un prodotto agroalimentare della tradizione locale diventa così strumento strategico per occuparsi “attivamente” del territorio, affrontare una serie di argomenti strettamente intrecciati e complementari (esplicitando la vocazione “interdisciplinare” dei processi di promozione della cultura locale), intervenire sulla qualità della vita e del paesaggio, creare una rete di scambi e relazioni con enti, istituti e associazioni per introdurre strategie di sviluppo rurale incentrate sulla sostenibilità ambientale.
Le finalità del progetto sono molteplici: il recupero di vecchie varietà di cereali un tempo coltivate e ora circoscritte a piccolissimi areali di coltivazione; l’organizzazione di una rete di “conservatori” che si impegnino a preservare parte del germoplasma presente a livello locale; l’ottimizzazione delle pratiche agricole attraverso la rotazione e la successione delle colture; la sperimentazione di tecniche agronomiche sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; l’avvio di una filiera agroalimentare, di raccordo tra produttori, trasformatori e consumatori; la riqualificazione del paesaggio agrario; la trasmissione di saperi e memorie.
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