Torna a Torino una cena futurista. Un nostro sogno che diventa realtà grazie alla disponibilità della famiglia Bello, del cuoco Luca Taretto, del “miscelatore” Federico Genta e del “guidapalato” Simone Servi. L’eccezionale serata fa parte del programma “Pagine di storia a tavola” da noi curato presso l’elegante ristorante La Cloche 1967,
sulla collina torinese. Dopo questo convivio dedicato al pittore
futurista Fillìa (sabato 23 marzo 2019), proseguiremo con il finanziere e
mecenate Riccardo Gualino in veste di “cioccolatiere” (sabato 13
aprile), per concludere con Mario Soldati (del quale ricorre il
ventesimo anniversario della scomparsa) sabato 18 maggio.
La cena futurista del 23 marzo
si annuncia come un avvenimento eccezionale, con una presentazione del
movimento artistico, unica avanguardia italiana nel panorama europeo,
da parte del critico de La Stampa Angelo Mistrangelo, con una “listavivande” tratta dal libro La cucina futurista pubblicato
nel 1932 da Fillìa e Marinetti, con abbinamenti di “polibibite” e il
rispetto delle regole per un “pranzo perfetto” secondo il Manifesto
della cucina futurista pubblicato il 28 dicembre 1930 sulla Gazzetta del Popolo: “un’armonia originale della tavola coi sapori e colori delle vivande” e una “originalità assoluta delle vivande”.
Il
Manifesto aveva l’intento di adeguare la tradizione culinaria italiana
al mito della velocità e della modernità propugnato da Filippo Tommaso
Marinetti e dai suoi accoliti, artisti e intellettuali coccolati dal
fascismo. I firmatari proposero – tra grandi polemiche – «l’abolizione
della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana». Così i
«bocconi simultanei», i «complessi plastici saporiti», la musica e la
poesia come ingredienti, la curiosità e la fantasia entrarono di
prepotenza tra i fornelli tricolori, senza però lasciarne una traccia
duratura. Forse la provocazione era eccessiva, l’azzardo intempestivo,
tanto che soltanto l’alta cucina d’avanguardia, nei piatti molecolari,
ha ripreso ottant’anni dopo alcune di quelle intuizioni.
Torino
fu al centro di questa esperienza, non soltanto per il quotidiano sul
quale pubblicarono il loro Manifesto, ma anche perché il primo
ristorante dichiaratamente futurista, anche nell’arredamento –
progettato da Nicolaj Diulgheroff – aprì in città l’8 marzo 1931, in via
Vanchiglia, con una cena di gala alla quale fece da speaker ufficiale
un pittore cuneese, Luigi Colombo (1904-1936), che firmava i suoi poetici quadri con il cognome della madre, Fillìa.
Tra polibibite (le parole straniere come cocktail furono bandite), traidue (il sandwich), placafame (gli attuali snack) e il peralzarsi
(il dessert) alla Taverna del Santo Palato si consumò una cena delle
meraviglie, con piatti poli sensoriali e accostamenti di gusto inusuali.
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