Alla Kunsthaus Dahlem di Berlino, la mostra dal titolo “Emilio Vedova. More than Movement for Its Own Sake" (Emilio Vedova. Più di un movimento fine a se stesso), a cura di Dorothea Schöne, riprende una frase dell'artista: “Il mio lavoro è tutt'altro che un gioco, un movimento fine a se stesso, al contrario...”. In questo modo, la mostra sottolinea una preoccupazione specifica di Vedova: comprendere il movimento non come “fine a se stesso” ma come espressione dell'esperienza sociale, politica e umana.
Invitato dallo storico dell'arte Werner Haftmann nell'ambito di un programma artistico gestito dalla Ford Foundation, Emilio Vedova (1919-2006) arrivò a Berlino nel novembre 1963, una città che, più di ogni altra, incarnava molteplici contraddizioni: traumatizzata dal passato nazista, divisa dalla Guerra Fredda, eppure ricca di energia culturale. Berlino, una “città-isola”, come la definiva Vedova, divenne il palcoscenico di una riflessione artistica e socio-politica altamente produttiva.
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