A Belém, cuore dell’Amazzonia e scrigno di biodiversità, inizia oggi la COP30, Conferenza delle Parti sul Clima. «Un appuntamento che – come ricorda Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia – deve passare da impegni e negoziati ad azioni concrete. È una follia continuare a perdere tempo, fissando obiettivi che poi vengono disattesi». Come è successo con la storica COP di Parigi di 10 anni fa, che fissava a +1,5° C la soglia dell’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali; o con il fondo a favore dei paesi in via di sviluppo (COP27 di Sharm el Sheik); o con la riduzione dell’uso dei combustibili fossili (COP28 di Dubai); o l’impegno della finanza per il clima (COP29 di Baku).
«La crisi climatica – prosegue Serena Milano – non ha confini politici e ideologici, è un tema esistenziale: le nazioni devono intervenire subito, con azioni concrete per ridurre le emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti, e per promuovere, accanto alla transizione energetica, modelli di vita, di produzione e di consumo più sostenibili, meno energivori, rispettosi della natura, delle foreste, del suolo».
La questione climatica, invece, è passata in secondo piano, tra guerre, politiche di riarmo e capi di stato che la definiscono come frutto di un “ambientalismo ideologico” o addirittura una truffa. Purtroppo, una parte di chi guida le nostre nazioni guarda al passato e attua politiche economiche obsolete, le stesse che hanno causato i disastri ambientali e sociali attuali. Non bastano i dati allarmanti della Banca Mondiale, che ci avverte che entro il 2030 i cambiamenti climatici potrebbero far aumentare il numero di poveri fino a 122 milioni, o il recente studio dell'Imperial College di Londra e della London school of hygiene & tropical medicine, secondo il quale il caldo estremo ha provocato in Europa quasi 16.500 morti in più del previsto, con Roma che guida la classifica delle città più colpite. Da un lato si condannano i combustibili fossili, ma dall’altra si sostengono con fondi pubblici le aziende petrolifere. È fondamentale un piano globale e chiaro per limitare il riscaldamento globale e mobilitare (entro il 2035) i 1.300 miliardi di dollari all’anno necessari a sostenere la transizione nei Paesi del Sud del mondo che, come è noto, sono le principali vittime di questa crisi senza esserne causa.
Slow Food ha rivolto un appello ai governi della COP30 affinché pongano al centro dell'azione per il clima una transizione equa dei sistemi alimentari. La produzione industriale di cibo è responsabile di un terzo delle emissioni di CO2, compromette le foreste, gli oceani, la salute del suolo e delle persone, e non per sfamare il mondo, ma per arricchire poche multinazionali. Si pensi agli allevamenti intensivi: le maggiori produttrici di carne e latte - tra il 2022 e 2024 - hanno emesso oltre 1 miliardo di tonnellate di gas serra. In Brasile, uno dei paesi più ricchi di foreste e biodiversità al mondo, le monocolture di soia destinate ai mangimi ormai coprono un’area grande come la Germania.
«Le soluzioni alla crisi climatica – spiega Francesco Sottile, vicepresidente di Slow Food Italia – passano per un modello agricolo capace di nutrire le persone senza affamare il pianeta e diventano strutturali attraverso la rigenerazione degli ecosistemi e la difesa delle diversità: non soltanto la biodiversità agricola, ma anche la varietà dei paesaggi e delle culture che hanno a che fare con l’alimentazione e con il cibo. Oggi i sistemi alimentari sono al tempo stesso causa e vittima della crisi climatica. Siamo però convinti che possano esserne anche la soluzione, a patto che si fondino sui princìpi del buono, pulito e giusto».
Slow Food chiede con forza di abbandonare la dipendenza dei sistemi alimentari dai combustibili fossili. Fertilizzanti sintetici, erbicidi e pesticidi, oltre ad avvelenare l’ambiente e i suoli, sono strettamente legati all’uso dei combustibili fossili per la loro produzione. I governi devono promuovere soluzioni alternative, sostenendo filiere corte capaci di abbattere emissioni e sprechi e di rafforzare le economie locali, garantendo diversità alimentare e preservando il patrimonio culturale delle comunità.
Se il recente e inaccettabile richiamo all’impegno economico nel settore bellico fosse indirizzato verso la tutela della vita e del creato avremmo già avviato la transizione ecologica, sconfitto la fame nel mondo e invertito la crisi climatica.
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