Domenico Calligaro, classe 1926, ci ha lasciato. È stato il suggeritore e il sostenitore più rappresentativo del progetto di recupero del Pan di Sorc,
che senza il suo contributo non sarebbe stato possibile. Una quindicina
d’anni fa si presentò al Mulino Cocconi, dove ha fatto conoscere l’arte bianca
ai tantissimi ragazzini in visita d’istruzione, con in mano la ricetta
che avrebbe riportato in produzione un pane (della tradizione, della
comunità, del territorio) a rischio di estinzione. Ci insegnò che
nell’impasto delle tre farine – di cinquantino il mais più snobbato e
povero, di segale e di frumento – andavano aggiunti uvetta, fichi, noci,
semi di finocchio. Per merito di Meni abbiamo ridato forma a un
“prodotto culturale”, definito e consolidato una filiera, fatto
conoscere il Gemonese all’Italia del “cibo buono, pulito e giusto” anche
grazie al riconoscimento di Slow Food che nel 2011 ha assegnato al Pan di Sorc il marchio di “Presidio”.
Memorabili
le sue trasferte in Toscana e Piemonte agli ecomusei del Casentino (per
cui scrisse un diario di viaggio di cui riproponiamo un brano) e di
Cortemilia. Erano incontri dove produttori e operatori di territori
diversi si confrontavano e dialogavano sulle produzioni locali e le
relative filiere. Domenico diede dimostrazione delle sue grandissime
doti professionali, impastando e cuocendo il Pan di Sorc in
maniera mirabile. Venne applaudito e festeggiato. Ci resteranno impressi
nella memoria le sue qualità morali, il suo impegno associativo, la sua
adesione piena a una comunità che gli ha sempre voluto bene. Mandi Meni, che la terra ti sia lieve.
«Nel
pomeriggio con il presidente dell’Ecomuseo delle Acque ho raggiunto
Stia, luogo in cui dovevo preparare l’impasto per fare il pane. Qui
poche case si adagiano lungo l’Arno, le cui acque muovevano le macine
del duecentesco Molino del Bucchio, operativo fino al 1960. Al piano
superiore dell’antico edificio c’è una sala con il caminetto e sul
terrazzo un forno a legna che può sfornare fino a 15 kg di pane.
Ultimate le presentazioni mi sono messo al lavoro preparando il lievito
madre, poi ho visitato l’area attorno al mulino perlustrando le cinque
vasche dove un tempo venivano allevate le trote fario (da ex
guardiapesca del Friuli Venezia Giulia ho dato alcuni consigli agli
operatori del luogo, che si dedicano al recupero della struttura). […]
All’arrivo degli invitati ho iniziato a preparare l’impasto aggiungendo i
fichi sminuzzati e l’uva sultanina, dando forma a piccole pagnotte che
in seguito ho adagiato a lievitare per mezz’ora su un tavolo,
separandole con una tovaglia. Durante questo breve intervallo ho potuto
raccontare ai presenti la storia del “pan di sorc”, prodotto in quattro
frazioni di Buja: veniva fatto con le farine di frumento, di segale e di
mais, quello dai chicchi piccoli che noi friulani chiamiamo
“cinquantin” perché veniva seminato dopo la mietitura del grano. Questo
pane deriva da un’antica tradizione contadina risalente all’Ottocento».
(Domenico Calligaro, 3 maggio 2008, tratto da “Isaura”, dicembre 2008)
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