lunedì 19 novembre 2018

KEITH EDMIER | JOANA VASCONCELOS | CHIHARU SHIOTA CHE FINE HA FATTO IL CAGNOLINO DI MIA NONNA A cura di Antonio D’Amico



Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea presenta un nuovo progetto espositivo ideato e curato da Antonio D’Amico, storico e critico d’arte, che pone l’attenzione sulle molteplici possibilità di guardare la realtà, innescando atteggiamenti che dall’oggettivo sfociano verso visioni interpretative. Si tratta di un processo intrigante e creativo di grande suggestione che viene indagato dai tre artisti coinvolti, Keith Edmier, Joana Vasconcelos e Chiharu Shiota, per i quali la realtà è “una finestra dalla quale si affacciano per guardare ciò che li circonda e per catturare immagini da soggettare a pensieri della mente, che traducono in forme dove la fonte d’ispirazione rimane saldamente riconoscibile”. Emergono così opere che se per certi versi mostrano una mimesi della realtà, per altri la rivestono di uno strato intimo e soggettivo, consegnando allo spettatore una visione specchiante, una sorta di torsione personale del reale. Questo processo creativo trova le sue radici filosofiche in Platone, il quale parla di “rispecchiamento” della realtà, ossia di un’azione che non equivale a una perfetta riproduzione del reale, bensì alla restituzione di un’immagine che deve soltanto suggerire la sua fonte di partenza.

Attraverso uno studio dell’arte ottocentesca a Lisbona, Joana Vasconcelos incentiva uno stretto dialogo con la storia e si appropria dell’immagine di un gruppo di animali in ceramica, sopra i quali stende una coltre magica che proviene dalla tradizione popolare di merlettaie che dal Portogallo e dal mondo inviano all’artista centrini realizzati all’uncinetto, facendoli diventare uno schermo, una protezione sotto ai quali vivono i suoi animali che ci guardano silenziosi.
 
 
 
 
La memoria di un ricordo, di uno sguardo, viene bloccato da Chiharu Shiota nel tempo e nello spazio attraverso una ragnatela di fili rossi, con una visione onirica che rimanda al sogno e all’introspezione. L’artista giapponese esegue diari scultorei metafisici, i cui oggetti intrappolati non ci sveleranno mai i segreti e i pensieri sopraggiunti in un istante creativo, bensì ci consegna un rebus del quale ciascuno potrà appropriarsi e risolvere con la propria esperienza di vita.
 
 
Quello di Keith Edmier è uno sguardo attento sulla storia dell’arte del Seicento, in cui regna sovrana la riproduzione del reale, la mimesi di ciò che risiede in natura. Edmier catalizza la sua attenzione sui fiori dipinti da Caravaggio o da Carlo Dolci e non solo, facendoli rivivere nell’oggi e concedendo loro una seconda vita tridimensionale che ruota nello spazio.
 
 
 
 
Dinanzi ai fiori scultorei di Edmier che hanno la loro radice nella storia, agli animali “vestiti” di Vasconcelos che preservano la memoria della tradizione e alle scatole magiche di Shiota che svelano pensieri intimi e reconditi, lo spettatore potrà muoversi tra gli spazi della galleria di Mimmo Scognamiglio come in un giardino misterioso e fascinoso, popolato da forme e figure che attraggono la nostra attenzione in un continuo gioco di domande, alla ricerca di punti d’attracco con la realtà.

Che fine ha fatto il cagnolino di mia nonna, è il titolo della mostra che risuona come un interrogativo a cui per primo il curatore si sottopone. Si tratta di una domanda che apparentemente può essere legata ai ricordi d’infanzia ma che va ben oltre, in quanto nasconde il tentativo di ribaltare il quesito, scaturito da un episodio lontano nel tempo, in un collegamento con la pratica sperimentata da alcuni artisti, capaci di generare nuove idee e forme, partendo da ciò che catalizza i loro sguardi e i loro pensieri. Infatti, Keith Edmier, Joana Vasconcelos e Chiharu Shiota, procedono nel loro lavoro per “rispecchiamento” e rielaborazione di figure reali, presentate sotto forma di pensieri, idee, riferimenti misteriosi e affascinanti fisionomie.

Quando ero piccolo - racconta D’Amico - mia nonna aveva in campagna un cagnolino dispettoso che faceva la pipì sui fiori e per disperazione lei li rivestiva con sacchetti di plastica colorati e bucherellati per far vivere e respirare le sue meravigliose creature. Quel cagnolino era così dispettoso però che guardando la nuova “pianta” creata da mia nonna, più grande e ancor più colorata, si divertiva a smuoverla con la zampa e ad abbaiargli contro, forse perché non riconosceva più la sua fonte di attrazione e soprattutto probabilmente aveva capito che sotto si nascondeva il suo desiderio. Che fine ha fatto il cagnolino di mia nonna? Molte volte mi sono chiesto come mai non faceva più la pipì sulla grande e attraente forma di plastica, ai miei occhi ancor più attraente della pianta, ma si fermava soltanto a guardarla con sospetto. Una risposta non sono mai riuscito a darmela e a ripensarci bene non saprei darla neanche adesso, forse. Però, un collegamento con l’arte potrei suggerirlo perché alcuni artisti si comportano allo stesso modo di quel cagnolino. Anzi, prendendo spunto dalla fonte di partenza, se ne servono per riproporla con nuove sembianze. La pianta custodita sotto la forma creata da mia nonna rimane pur sempre viva ma nascosta, celata alla vista di quel cagnolino che però rimane a fissarla e a farne memoria, anche se adesso vede qualcosa di diverso. Proprio come accade con molte opere d’arte! Gli artisti si fermano a guardare il dato oggettivo con insistenza e applicano un’evasione mentale e creativa per comportarsi come quel cagnolino”.

Nel mutato atteggiamento del cagnolino dispettoso nei confronti delle nuove forme assunte dalle piante, D’Amico individua la persistenza di un’attrazione che si trasforma da semplice ispirazione a immagine soggettiva e dunque opera d’arte.

In mostra dunque, tre punti di vista che racchiudono un mondo magico e che si alternano negli spazi della galleria, innescando nuove relazioni tra arte e ciò che ci circonda, pur consentendo a ciascuno di riconoscere la memoria di ciò che è fuori, là negli spazi della vita.

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