venerdì 30 novembre 2018

La Scuola di San Lorenzo Una Factory romana a cura di Giancarlo Bassotti con il contributo critico di Marco Tonelli 8 dicembre 2018 – 19 marzo 2019 Inaugurazione venerdì 7 dicembre ore 18.00 Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi Palazzo Bisaccioni, Jesi (AN)


La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, nella sede del rinascimentale Palazzo Bisaccioni nel centro storico di Jesi, continua la sua attività espositiva e, dopo la mostra della passata stagione sull’arte povera, presenta l’esposizione La Scuola di San Lorenzo. Una factory romana che riunisce idealmente quel gruppo di artisti che nella Roma degli anni ’80 occuparono le stanze abbandonate dell’ex pastificio Cerere con i loro ateliers, donando nuova linfa vitale al caseggiato industriale situato nell’omonimo quartiere della città.

Accomunati da un’attenzione particolare per il processo creativo dell’opera d’arte, il gruppo della ‘Scuola di San Lorenzo’, che nel senso stretto del termine non è mai stato tale, ha maturato interessanti percorsi individuali, ora riuniti in una selezione di circa quaranta opere per la mostra La Scuola di san Lorenzo. Una Factory romana organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi in collaborazione con Gino Monti Arte Contemporanea Ancona e curata da Giancarlo Bassotti con il contributo critico di Marco Tonelli.

Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Giovanni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli sono gli artisti che agli inizi degli anni Ottanta furono identificati dalla critica come gli esponenti della ‘Scuola di San Lorenzo’ e la celebrazione nazionale e internazionale, avvenuta nel 1984 con la mostra Ateliers curata da Achille Bonito Oliva nei locali di Via degli Ausoni, a Roma, allora sede di un ex pastificio abbandonato e oggi Fondazione che porta il nome del pastificio stesso, ne sanciva gli intenti anti programmatici impedendo ogni sorta di inquadramento tecnico tout courtRivendicando la ricerca di soluzioni nuove da un punto di vista formale, anche nell’uso dei più disparati materiali, questi artisti si distaccano in maniera netta, e a tratti polemica, dalla Transavanguardia, all’epoca tendenza artistica di riferimento per l’ambiente romano. La ricerca sullo spazio, trattato anch’esso come materiale da modellare, diventa uno degli elementi costanti nel lavoro di ogni singolo artista già a partire dalla loro scelta di trasformare in ateliers i vari locali dell’ex pastificio abbandonato: “questi artisti non si sono identificati con il luogo, ma è proprio quest’ultimo che li ha identificati e ne è rimasto a suo volta segnato” come afferma la critica Patrizia Ferri.

Collocabili sulla scia dell’Arte Povera, le cui premesse concepite a Roma, hanno senz’altro posto le basi per un ambito creativo che predilige il fare, tutti e sette gli artisti proveniente dalla ‘Scuola di San Lorenzo’ condividono una poetica in grado di riallacciare l’arte con l’esperienza quotidiana fatta di immagini simboliche riconducibili all’esperienza intima di ogni artista nel proprio studio, luogo di vita e attività febbrile.

Su questa base le opere di Domenico Bianchi si contraddistinguono da un segno che è anche il soggetto dell’opera la cui funzione è quella di generare altre forme aprendosi quindi a molteplici possibilità di senso. Mentre le tavole di Bruno Ceccobelli ben esprimono il simbolismo attraverso la creazione di immagini che rimandano a una narrazione mitologica fatta di segni non codificati. La pittura di Gianni Dessì è invece uno studio approfondito sulla tridimensionalità: i suoi dipinti dialogano infatti con la scultura fino ad alterarne la percezione. Giuseppe Gallo predilige il confronto con la natura in divenire e così le sue tele ben rappresentano l’essenza di questo movimento attraverso forme imprevedibili e in costante movimento. Nunzio, quello che fu definito all’epoca l’unico scultore del gruppo, ancora oggi lavora sulle possibilità espressive della materia e del suo rapporto con lo spazio e la luce e, a partire già dalla metà degli anni ’80, ha iniziato a utilizzare vari materiali come il legno e il ferro e a sperimentare nuove tecniche come quella della combustione del legno che ancora oggi caratterizzano la sua produzione artistica. Pietro Pizzi Cannella si muove tra il disegno e la pittura nel tentativo di abbattere le barriere tra le due espressioni attraverso un linguaggio privo di artifici barocchi dove il quotidiano emerge nella sua struggente semplicità. Astratto e figurativo si fondono invece nelle opere di Marco Tirelli dove la forma e la luce riescono, da sole, a declinare il soggetto in infinite combinazioni.

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